CONSIGLIO UE, DAY ONE: L’UNITÀ NON C’È (E C’ERA DA ASPETTARSELO)
Già sapere che le conclusioni del Consiglio Europeo, o almeno la bozza preparata come sempre prima dei dibattiti a Bruxelles, non vedrà l’unanimità ma la firma di 26 su 27 leader UE fa intuire come già in origine non vi sia affatto una vera “Unione Europea”. E così nel summit attesissimo (in Europa, meno a Washington e Mosca), la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen prova a tirare i fili dei macro-dossier del momento: il piano di riarmo, la difesa comune, il nodo immigrazione, il piano di risparmi e investimenti e il futuro bilancio fino al 2028.
Con ogni probabilità su molti di questi temi serviranno altre riunioni e un ulteriore Consiglio UE già nelle prime settimane di aprile, ma il mondo corre e i negoziati di pace che potrebbero proseguire fra Usa e Russia già a Gedda la prossima settimana impone una posizione importante dell’Europa: posizione che al momento non resta unitaria, ma frammentata sui tanti dettagli e pieghe del nuovo “bazooka” europeo post-Covid, questa volta legato al riarmo dell’industria europea. Se infatti il Consiglio UE – che terminerà domani venerdì 21 marzo 2025 – è concorde sul sostegno all’Ucraina, sulla necessità di una pace duratura, e appoggia gli sforzi di Trump nel dialogo a distanza con la Russia di Putin, manca del tutto l’unità di base su come disporre i fondi per il piano di riarmo, su come impostare l’eventuale difesa anti-Russia e sul ruolo effettivo di garanzia da offrire a Kiev dopo la tregua.
La pace “telefonica” per ora impostata da Trump, Putin e Zelensky (con quest’ultimo intervenuto oggi a distanza ringraziando l’UE ma anche ribadendo la fermezza sul non voler cedere alcun territorio ucraino oggi però in mano alla Russia) procede speditamente per gli incontri, ma lentissima sugli obiettivi e i prossimi step da ottenere. L’Ungheria non firmerà l’intesa finale, sottolineando come il riarmare l’Europa sia l’esatto opposto del percorso di pace che si vuole perseguire, mentre gli altri 26 ribadiscono nella bozza delle conclusioni finali che l’idea di pace in mente a Bruxelles è quella di una pacificazione “attraverso la forza”, concedendo ogni aiuto possibile all’Ucraina per permetterle di stare al tavolo dei negoziati con un ruolo il più possibile forte.
TRA FINANZIAMENTI E DIPLOMAZIA, QUALI DISTANZE RIMANGONO TRA I 27 LEADER UE
I «giorni decisivi per l’Europa», richiamati ad inizio Consiglio da Von der Leyen non si concluderanno certo domani, ma al momento vedono un sostanzialmente fallimento del tentativo europeo si sedersi al tavolo delle trattative: restano a fianco dell’ucraina e della NATO per eventuali azioni di garanzia post-tregua, sulla difesa aerea ma anche sull’eventuale disposizione di soldati europei (magari quella “coalizione di volenterosi” discussa a Londra nelle prossime ore tra diversi Stati Ue ed esteri) sul campo ucraino, anche se il “niet” di Mosca finora è nettissimo.
Il piano ReArm Europe da 800 miliardi, il Libro Bianco sulla difesa e il piano di risparmi per investire anche sul fronte bellico, non sono temi da poco, specie per il finanziamento che produrrà e per la scelta tutta da prendere per il Consiglio Europeo in merito a ripetere l’esperienza di un Recovery Fund ma in “salsa militare”. Macron spinge per una difesa europea senza la NATO, o almeno prepararsi all’evenienza, la Germania vorrebbe fare molto più debito (derogando ormai definitivamente alla stagione dell’austerità della Cancelliera Angela Merkel), l’Italia ha le sue posizioni stabili nel non voler inimicare le relazioni Usa-UE, evitando di arrivare a spendere debito pubblico ulteriore per una completa economia di “guerra”.
L’Olanda da par suo non vuole assolutamente alcun tipo di eurobond o debito comune per finanziare il “ReArm EU”, mentre l’ex Visegrad (senza Orban) questa volta rompe con i frugali avendo l’eventuale minaccia russa alle porte dei propri confini: è un macro-caos sempre più complesso, con il “pallino” in mano che ormai è assolutamente lontano da Bruxelles per quanto riguarda la tregua Russia-Kiev, ma che rischia di avere ripercussioni ancora più nefaste se non si riesce a recuperare un senso vero di unità per un Consiglio Europeo sfilacciato e unito solo nel non voler abbandonare Zelensky.
Per gli eurobond si stanno spendendo a fari “spenti” Francia, Italia e Grecia, con la Spagna interessata, mentre per i “frugali” la linea è sempre quella di Germania, Olanda e Austria nel non ammettere indebitamenti ulteriori dei Paesi messi peggio da questo punto di vista (Roma in primis, ndr). L’Italia di Meloni in più però aggiunge la consapevolezza che alzare il proprio debito pubblico sarebbe nefasto, e dunque chiede lo sblocco di risorse come l’Invest EU per poter fare da volano per un’economia in ripresa con garanzie pubbliche ma con poi sviluppo e crescita private.
LA LINEA DEL GOVERNO MELONI E I “DUE FORNI” TRA UE E USA
«Manteniamo il sostegno all’Ucraina, così come gli sforzi americani per una pace giusta e duratura»: così Giorgia Meloni nel punto stampa al termine della prima giornata di Consiglio Europeo affrontando anche il tema della ricostruzione, «noi come Italia siamo in prima fila su tale sponda con la Conferenza specifica convocata a Roma nei prossimi mesi». Sul fronte riarmo invece, la Presidente del Consiglio ribadisce che parlare di quelle cifre altisonanti in realtà è un insieme di numeri virtuali e somma di stanziamenti fino al 2030, «in realtà le cifre sembrano alte ma sono pressoché virtuali», anche per il ReArm EU è tutt’altro che definito.
Resta per Meloni l’estensione dell’articolo 5 della NATO anche per l’Ucraina, senza però l’ingresso immediato in guerra per i partner è al momento «la soluzione ideale» per il futuro di garanzia Ue su Kiev post-pace, ma trova la netta “concorrenza” delle posizioni inglesi e tedesche, oltre che francesi, che puntano invece all’invio di soldati e aiuti in terra ucraina come garanzia e deterrenza. Il Governo italiano resta dunque sui due “forni” molto complicati di non voler rompere affatto in Europa, evitando di essere la “novella Ungheria” anti Von der Leyen a prescindere, di contro però senza spaccare le relazioni con gli Usa di Trump e con la stessa Alleanza Atlantica.
Dopo le clamorose proteste in Parlamento italiano per l’attacco di Meloni al Manifesto di Ventotene, a Bruxelles la Presidente del Consiglio ha trovato un ambiente molto meno ostile e ha provato ad impostare una linea diplomatica tanto con la Commissione, quanto con i Paesi che portano al tavolo opzioni diverse dalle proposte italiane. Tanto l’Italia quanto molti altri partner europei hanno invece bocciato il piano dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera della Commissione, Kaja Kallas, che poneva sul piatto 40 miliardi di ulteriori aiuti in armi a Kiev, poi scesi a 5 e ora congelati in attesa di un via libera che non sembra esserci nell’emiciclo di Bruxelles.