All’indomani della nomina dei nuovi commissari europei, Conte a Bruxelles ha incontrato, faccia a faccia, i presidenti entrante (Ursula von der Leyen) e uscente (Jean-Claude Juncker) della Commissione Ue e i presidenti nuovo (Charles Michel) e “vecchio” (Donald Tusk) del Consiglio europeo. Sul tavolo un’agenda scottante: la revisione del Patto di stabilità, la riscrittura degli accordi di Dublino in tema di migranti, il nuovo ruolo dell’Italia nella Ue e un piano straordinario di interventi per il Mezzogiorno. “Perfetta consonanza” con la von der Leyen, pacche sulle spalle a favore di telecamere con Tusk. Tutto bene, dunque? È davvero cambiato di colpo lo scenario in Europa: noi italiani ieri eravamo studenti indisciplinati e oggi in un battibaleno siamo diventati alunni meritevoli? Possiamo considerare già acquisita una buona flessibilità in vista della manovra 2020? Lo abbiamo chiesto ad Antonio Polito, editorialista del Corriere della Sera.
Torna davvero il sereno tra Italia e Ue? E come si spiega questo veloce cambio di scena a 360 gradi?
Il cambio di scena è vero. Il Conte-2 ha tolto le castagne sovraniste dal fuoco della Commissione. Prima della formazione del nuovo governo si era creata una situazione politicamente imbarazzante per Bruxelles, perché il partito che riteneva di poter indicare un proprio uomo era la Lega. Sarebbe così entrato nella Commissione un rappresentante di un partito che aveva votato contro la presidente von der Leyen.
L’uscita di scena di Salvini ha sciolto questo imbarazzo?
Sì, l’Italia ha così potuto mandare una personalità, Paolo Gentiloni, che ha non solo la caratura necessaria, ma è anche un europeista di sicura fede. Anzi, in cambio, Bruxelles ha mandato Roberto Gualtieri come nuovo titolare dell’Economia. Perciò l’identità di vedute non sorprende, direi che c’è un asse fortissimo con Bruxelles.
Ma dopo le parole della stessa von der Leyen il giorno dell’annuncio della nuova Commissione e dopo l’intervento della stessa cancelliera tedesca, Angela Merkel, sul fatto che le regole sono chiare, vanno rispettate e non cambiate, secondo lei che cosa dobbiamo aspettarci? Non c’è un’aspettativa eccessiva sulle aperture europee in fatto di flessibilità sui conti?
È fuor di dubbio che l’Italia non si deve aspettare regali. Prima di tutto, perché la Commissione è la Commissione e i governi sono i governi, due cose profondamente diverse. La Commissione è a Bruxelles e i governi, che rispondono alle loro opinioni pubbliche e agli elettori, non vogliono far vedere che cedono agli spendaccioni, italiani o greci o spagnoli che siano.
In secondo luogo?
Come ha appunto detto von der Leyen, ci sono delle regole e sia Gualtieri che Gentiloni le conoscono bene. Non mi aspetto grandi margini di flessibilità. E tutto sommato non credo siano così utili.
Addirittura?
Visto come in passato sono stati sprecati o usati in maniera improduttiva, non sono serviti a rilanciare l’economia e l’occupazione. Il governo invece deve impegnarsi molto su questo. E anche i tagli fiscali eventuali vanno concentrati sulla produzione, sul cuneo, sui salari dei lavoratori. Non mi butterei in un’altra stagione di mance: già ne abbiamo avute numerose, gradite sempre per chi le riceve. Ma dobbiamo sapere che, aumentando il nostro deficit e il nostro debito, c’è sempre qualcuno che le deve pagare e questo qualcuno non è Bruxelles, ma siamo noi contribuenti.
Parlando con la von der Leyen, Conte ha detto che, oltre alla revisione del Patto di stabilità e dell’accordo di Dublino, la terza priorità per l’Italia è un piano straordinario per lo sviluppo del Sud. È una richiesta che può trovare orecchie attente a Bruxelles? A quali condizioni?
Sicuramente sì, perché uno dei compiti istituzionali della Ue è proprio quello di favorire la coesione, un lavoro che l’Europa ha svolto bene. Il problema, semmai, è che quando noi andremo a chiedere altri soldi alla Ue per il Mezzogiorno, la risposta che immagino riceveremo sarà: cominciate a spendere quelli che avete, perché l’Italia è primatista europea nell’incapacità di spesa dei fondi comunitari. Le Regioni meridionali non sono in grado o non vogliono organizzare progetti fattibili e verificabili, che abbiano valore per lo sviluppo. Basta pensare alla carenza di infrastrutture. In questo campo si può fare molto, perché giacciono inutilizzate già molte risorse, che spesso l’Italia non ha potuto co-finanziare o ha stornato per altre voci di spesa. Ben venga, allora, un piano straordinario per il Mezzogiorno, con le Regioni coordinate dal centro, per realizzare infrastrutture capaci di attrarre imprese e nuova occupazione e di elevare la qualità della vita delle persone.
La prossima Legge di bilancio verrà scritta a Roma o a Bruxelles?
Andrà più o meno come è successo con l’ultimo governo giallo-verde: la fece Roma e la cambiò Bruxelles, con quel 2,4% di deficit che divenne poi 2,04%. Si sa che ci sono regole scritte, in vigore ormai da anni e sottoscritte anche da noi, che prevedono un controllo sul bilancio da parte della Commissione e dell’Eurogruppo. La verità, però, è che la nostra vera camicia di Nesso non è tanto ciò che dice Bruxelles, ma il nostro imponente debito pubblico, che ci impedisce di avere le mani libere per poter fare anche più deficit.
Oggi il governo giallo-rosso dovrebbe chiudere la partita dei sottosegretari. Ma nel governo Conte-2 il check and balance tra M5s e Pd è equilibrato?
Per me è equilibrato. I centri di decisione più importanti vanno al Pd, eccetto Palazzo Chigi, dove non ha messo piede. Non ha neanche il sottosegretario alla Presidenza e c’è Conte che continua a presentarsi come un marziano, un super partes che non ha mai fatto politica in vita sua, quando sappiamo che era stato candidato già prima delle scorse elezioni come ministro dei Cinquestelle, quindi è organico a quel movimento. Il Pd ha sorvolato sulla sua assenza a Palazzo Chigi, ma in cambio ha preso l’Europa con la “troika” Gualtieri-Gentiloni-Amendola. Anche le Infrastrutture sono un ministero importante, spesso utilizzato male perché non è facile far partire i cantieri. Ma se dobbiamo aspettarci qualcosa dallo Stato nei prossimi mesi e anni per rilanciare l’economia sono i tantissimi progetti infrastrutturali già finanziati che le pastoie burocratiche e normative tengono bloccati.
Il Conte-2, come il Conte-1, nasce da un’alleanza atipica e in condizioni un po’ bizzarre. Ma c’è una differenza notevole: ora deve fare i conti con un’opposizione forte. Come la vede?
Anche il Conte-1 ha fatto i conti con un’opposizione, certo più debole di quanto sia l’opposizione di oggi, perché è chiaro che Salvini è ancora forte nel Paese. Ma non è questo il problema maggiore, perché un’opposizione vivace fa sempre bene ai governi.
Quale sarebbe, allora, il problema maggiore?
Il vero problema è endogeno: il Conte-2 ha o no le idee su quel che deve fare? Il governo giallo-verde l’idea ce l’aveva: dimostrare che, dopo anni di austerità, si restituiva qualcosa agli italiani, vedi alle voci reddito di cittadinanza e quota 100. Ricette che non funzionano, però soddisfano le richieste di gruppi più o meno numerosi.
Oggi che cosa si sostituisce a questo?
Il nuovo governo vuole certamente fare una politica diversa, che punta di più alla crescita senza giocare con i conti pubblici. Ma nell’ora e mezza in cui Conte ha illustrato il suo programma alla Camera non ho sentito alcuna idea forte. Ci sono un sacco di affermazioni ovvie, che la politica fa da tempo. Questo è il vero pericolo, che si nasconda in un tran-tran giustificato solo dalla voglia di durare.
È giusto che si parta dal taglio dei parlamentari e dalla legge elettorale, additate come priorità assolute?
No, non è un provvedimento prioritario. Anche perché i provvedimenti che incidono sulla formazione del Parlamento solitamente vengono affrontati alla fine della legislatura. Cambiando la sua conformazione, il Parlamento in carica diventa implicitamente superato, non più corrispondente alla nuova forma costituzionale. E se lo si fa a legislatura appena iniziata, in qualche modo si apre la porta già alle prossime elezioni.
Ma i Cinquestelle hanno posto la questione del taglio dei parlamentari in termini ultimativi…
E il Pd ci ha inevitabilmente, e giustamente, agganciato la riforma elettorale. Il taglio dei parlamentari sortirebbe infatti un effetto maggioritario molto forte sulla legge elettorale vigente, riducendo i collegi e aumentando in tal modo di molto il quorum necessario dei voti da prendere per eleggere un parlamentare. Questo potrebbe tenere fuori dal parlamento partiti che raccolgono il 9% del consenso e potrebbe addirittura dare una maggioranza assoluta di seggi a partiti che arrivano o sfiorano il 40%. Ecco perché è necessario adeguare la legge elettorale.
Come andrà a finire?
A mio avviso, M5s e Pd si impantaneranno: non sarà facile e l’opposizione si scatenerà. Auguri.
(Marco Biscella)