Che in diritto ci siano poche certezze, non è una novità. Ancor più vero se consideriamo che in una recente sentenza del Tribunale di Firenze (n. 794/2019) è stata accertata la nullità del termine apposto ai contratti stipulati ex D.Lgs. 81/2015, ritenendo che il datore di lavoro si fosse avvalso dei rapporti di lavoro a tempo determinato seppur in assenza di esigenze transitorie.
La vicenda da cui trae origine questa pronuncia riguarda un lavoratore che era stato assunto a tempo determinato, con un primo contratto nel periodo da febbraio 2015 a giugno 2016 (per effetto di cinque proroghe) e con un secondo da ottobre 2016 a gennaio 2017. Il dipendente chiedeva l’accertamento della nullità del termine apposto ai contratti e alle relative proroghe.
Muovendo dal presupposto che secondo la normativa interna “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro“, con un innovativo excursus argomentativo il giudice del lavoro ha affermato che il datore di lavoro sarebbe tenuto ad allegare le particolari e specifiche esigenze transitorie che giustificano l’utilizzo dei rapporti di lavoro a tempo determinato. A riguardo, è stato infatti sancito che le norme di diritto nazionale devono essere interpretate alla luce dei principi di rango comunitario che intendono prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo in serie dei contratti a termine. Per questo motivo, in assenza di ragioni di natura provvisoria che giustifichino il ricorso da parte dell’azienda al contratto a tempo determinato, la validità del termine apposto verrebbe meno.
La previsione di un onere di allegazione in capo al datore di lavoro, tuttavia, parrebbe porsi in contraddizione alla norma. La disciplina del contratto a termine contenuta negli artt. 19-29 del D.Lgs. 81/2015 – precedente alle modifiche introdotte dal cosiddetto Decreto Dignità – prevedeva la possibilità di concludere contratti a termine senza causale nel limite di 36 mesi e un numero massimo di cinque proroghe, fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi.
L’elemento di novità della pronuncia in esame riguarda proprio il tema della causale. E invero, sebbene il giudice abbia riconosciuto che formalmente il datore di lavoro non fosse tenuto a indicare la causale nel contratto di lavoro a termine, ha altresì ritenuto che la sua validità verrebbe meno qualora il lavoratore dimostrasse che il rapporto di lavoro fosse sorretto da esigenze di carattere stabile e durevole. In presenza di dette esigenze, il datore di lavoro sarebbe quindi tenuto a utilizzare la forma contrattuale del rapporto a tempo indeterminato, mentre l’utilizzo del contratto a termine costituirebbe una forma di abuso compiuto in violazione di detto principio.
Questa decisione del tribunale di merito si presenta tuttavia fin troppo innovativa e – a parere di chi scrive – rischia di destare incertezze su una previsione normativa che fino a oggi risultava poco insidiosa.