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Home » Lavoro » Sindacati » CONTRATTI & SALARI/ La sfida che rimane (ancora) aperta per i sindacati

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CONTRATTI & SALARI/ La sfida che rimane (ancora) aperta per i sindacati

Le federazioni dei metalmeccanici non sembrano godere di grande appoggio delle confederazioni in questa fase di rinnovo contrattuale

Giuliano Cazzola
Pubblicato 22 Aprile 2025
Una manifestazione dei sindacati dei metalmeccanici (Ansa)

Una manifestazione dei sindacati dei metalmeccanici (Ansa)

In un breve saggio, recentemente pubblicato da Egea con il titolo “La questione salariale” Andrea Garnero, economista dell’Ocse, e Roberto Mania, già invitato di Repubblica che ha dedicato quasi tutta la sua carriera ai temi del lavoro e delle relazioni industriali, dialogano tra di loro sulla tematica delle retribuzioni che è divenuta, da noi, l’ultimo tormentone in ordine di tempo del dibattito politico e sindacale. Infatti, come ha scritto l’Ocse, tra il 1990 e il 2020 lʼItalia è lʼunico Paese dellʼUnione europea ad aver fatto registrare una variazione negativa dei salari reali.


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Nel saggio, oltre a riportare i dati che descrivono la situazione, gli autori vanno alla ricerca dei motivi strutturali che hanno determinato tale situazione, a partire dai ruoli e dalle responsabilità dei grandi soggetti collettivi che affrontano le problematiche del lavoro tramite la libera contrattazione. Ovviamente il discorso non può non partire che dall’architettura della contrattazione definita nel Protocollo del 1993 negoziato tra il Governo Ciampi e le parti sociali che Gino Giugni allora ministro del Welfare volle definire la Costituzione del Lavoro. Il merito di quell’accordo è da attribuire, dopo anni di confusione, alla definizione di ruoli specifici per ogni livello.


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Mentre il contratto nazionale di categoria aveva il compito di tenere le retribuzioni in linea con l’inflazione (assorbendo la funzione storicamente svolta dall’indennità di contingenza, una specie di stabilizzatore dell’inflazione abolita l’anno precedente dopo un decennio di conflittualità sindacale e politica), la leva principale per far crescere i salari reali – sottolineano gli autori – in una situazione di inflazione calante come si è verificato prima della fiammata dei prezzi energetici del 2021 (che hanno spiazzato l’Ipca), secondo il Protocollo Ciampi (e degli accordi successivi), era quella della contrattazione decentrata, che ha avuto scarsa diffusione anche per effetto della struttura produttiva dominata dalle Pmi.


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Sarà proprio l’incapacità delle aziende di crescere uno dei fattori ritenuti determinati di una politica salariale inadeguata. Ma considerazioni critiche sono rivolte anche alle parti sociali. In primo luogo, per quanto riguarda i criteri della rappresentanza che devono valere anche per le associazioni datoriali; ma soprattutto per la mutazione genetica che ha interessato le organizzazioni sindacali, le quali – scrive Mania – sono ormai une e trine in senso trasversale.

Il primo soggetto va individuato nelle strutture confederali (in primis Cgil e Uil) che ormai agiscono nello stesso campo dei partiti politici, mentre le categorie continuano a essere impegnate nelle funzioni più tipiche di negoziare e sottoscrivere i contratti; funzioni che danno luogo poi ai motivi per cui i lavoratori aderiscono ai sindacati. Il terzo soggetto sono le strutture di servizio: i Patronati, i Caaf, ecc. che svolgono compiti di assistenza dei lavoratori.

Pertanto, se il perno intorno al quale ruota il sistema è la contrattazione collettiva nazionale di categoria è facile immaginare, sommando gli anni di durata dei contratti rinnovati con i tempi necessari alla preparazione delle piattaforme rivendicative e al negoziato, che finisca per trascorrere un arco temporale troppo lungo in un regime di invarianza retributiva a fronte delle trasformazioni che possono intervenire nel frattempo.

Anche se nel 2024 vi è stata una svolta per le retribuzioni contrattuali in Italia, con aumenti che finalmente hanno superato l’inflazione dopo anni di perdita di potere d’acquisto, il recupero è restato insufficiente: nel periodo 2019-2024 l’inflazione ha eroso i salari, portando a una perdita di potere d’acquisto pari al 7,1%.

Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici potrebbe essere assunto come un classico esempio delle criticità che sono già state individuate. È un caso però che mette in evidenza come gli errori soggettivi determinano danni molto più gravi nell’ambito di una struttura contrattuale prevalentemente centralizzata.

Le federazioni dei metalmeccanici hanno voluto farsi riconoscere proponendo una piattaforma rivendicativa più onerosa di quelle presentate da altre categorie che sono state in grado di ottenere rinnovi soddisfacenti senza dover ricorrere a forme di intensa conflittualità. Poi hanno gestito il negoziato senza un’adeguata capacità di mediazione arrivando a perdere il tavolo delle trattative e a dover lottare per riconquistarlo. Come nel gioco dell’oca sono tornati alla casella di partenza.

A quanto afferma la Federmeccanica – smentita con poca convinzione dai sindacati – gli scioperi non hanno una partecipazione adeguata. Se la più importante categoria dell’industria si trova in difficoltà le confederazioni non possono restare indifferenti.

Cgil e Uil sono state protagoniste di una sequenza di scioperi generali tra i più inutili della storia secolare del sindacalismo italiano, ma non muovono un dito per venire in soccorso dei metalmeccanici. La Cgil pensa solo al referendum dell’8 e 9 giugno, mentre la Uil si guarda attorno perché non è in grado di fare da sé. In altre epoche le lotte dei meccanici furono sostenute dalla solidarietà delle altre categorie dell’industria e dall’intervento delle confederazioni per sollecitare una mediazione del Governo.

Azioni di questo tipo indurrebbero le federazioni della categoria e rispondere con maggiore senso di responsabilità in sede di negoziato, se e quando, la minaccia di uno sciopero generale dell’industria le riportasse al tavolo del negoziato. Le tre confederazioni potrebbero ritrovare anche un momento di unità d’azione a fronte di un problema di politica sindacale in senso stretto.

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Tags: CgilInflazioneUil

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