Ogni giorno ormai siamo in attesa di conoscere lo sviluppo dello scenario legato al coronavirus nel nostro paese. Il punto di partenza? I dati cinesi, che, in rigorosa proporzione ed a picco raggiunto delineano la “montagna da scalare”. Il picco è la vetta, che la Cina ha raggiunto e superato a febbraio ed ora ha i contagi in calo. Prendendo per buoni in termini assoluti i dati “di curva” cinesi, il picco italiano è atteso a breve, perché avendo la Cina circa 25 volte la popolazione italiana ed avendo avuto il picco a circa 60 giorni dal primo contagio, a circa 80.000 indica, per proporzione, un picco italiano intorno al 3.200, quindi in linea teorica molto vicino. Il tempo risulta ridotto per un rapporto popolazione/spazi e contenimento immediato dei cluster.
Tecnicamente però questo ragionamento proporzionale rischia di non essere corretto, perché ritorniamo al problema principale: la veridicità dei dati cinesi, che ha sostanzialmente questi lati oscuri, tenendo presente che il 20% finisce in terapia intensiva:
1. i contagi cinesi hanno qualche zero in più, ma i decessi cinesi seguono questa curva o sono bloccati ad uno “stranamente perfetto” e matematico 3,4? La domanda è legittima. Più i contagi diminuiscono (causa parametri, sia chiaro, sui tamponi) più aumenta la mortalità, quindi rimane il dubbio che i dati siano “ricalcolati”;
2. poniamo di aggiungere uno “0” ai dati cinesi (quel che hanno fatto a Taiwan), quindi partendo da 800.000 contagiati, il picco per l’Italia sarebbe a 32.000 contagiati, con un 20% in cure intensive, ovvero circa 6.400 persone, invece che le 640 stimate numeri alla mano ed assorbili dal nostro sistema (leggi qui le ipotesi di ricalcolo).
Il sistema cinese ha retto, ma non sappiamo a quale prezzo e con quale ritmo si sia arrivati al picco di decessi, visto che in molti sono rimasti a casa fino alla fine. In Cina la mortalità è al 3,4 e ha raggiunto quella italiana (alzata per un ricalcolo dei tamponi?).
Si crea un ragionamento inversamente proporzionale, ovvero:
– più contagi, vertiginoso abbassamento di mortalità
– meno contagi, aumento della mortalità
In pratica, il cuore dell’epidemia è rappresentato dal dato dei contagi in rapporto alla mortalità. Il dato italiano risulta quindi esattamente superiore di 25 volte rispetto a quello cinese, il che solleva qualche dubbio sul ricalcolo cinese e ovviamente tutti i modelli creati in questo modo risultano sballati. Un modello con equazioni differenziali (lo standard nelle epidemie simili) non aiuterebbe, anzi con queste premesse farebbe andare parecchio fuori strada.
Le borse sono più spaventate dai contagi, che se numerosi non riuscirebbero a delineare l’epidemia generando psicosi ed instabilità, oltre che lavoro bloccato. Anche l’alta mortalità agita i mercati, quindi ordinare un cambio di parametri potrebbe essere fondamentale per contenere l’epidemia e sradicarla poi del tutto dal nostro paese.
Anche il dato singolo giornaliero è esattamente in rapporto al dato singolo cinese, la medesima curva che ora dovrebbe toccare la vetta, ma il dato di contagio (frutto dei nuovi parametri, identici a quelli cinesi) ci riporta al punto di partenza: quando sono affidabili i dati di Pechino?
Una domanda che però sviluppa anche un ragionamento più fosco: il virus, essendo nuovo ed imprevedibile, può avere in dote curve di picco non prevedibili con i sistemi ad equazioni differenziali.
La speranza è basarsi sui dati italiani, che essendo prodotto di una democrazia, possono dare una grossa mano nella creazioni di modelli di previsione. Su questo punto l’Italia deve puntare, conquistando credibilità internazionale perché primo paese europeo ad avere una “storia contagio” coerente e trasparente utile alla prevenzione europea.
La narrazione d’un paese affidabile nasce anche su questo: diventare hub per contenere il contagio esportando i propri sistemi tarati su campo.
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