Tra le molte sfaccettature di questa crisi da Coronavirus ve ne sono anche alcune di natura istituzionale, che chiamano in causa i rapporti tra i diversi livelli di governo e tra le diverse funzioni che devono essere espletate per raggiungere il risultato necessario a superarla. I rapporti tra i diversi livelli di governo nel nostro Paese non sono mai stati pacifici, ad onta della natura cosiddetta “cooperativa” del nostro regionalismo. Anche in questo caso emerge invece la sua natura profondamente conflittuale, con discussioni e polemiche che mirano a recuperare margini per un consenso che, a livello nazionale almeno, rischia sempre di andare sotto il livello minimo richiesto per governare. Così, ogni occasione è buona per profilarsi, anche a scapito del buon funzionamento del sistema.
Cenni di conflittualità istituzionale si presentivano già nel conflitto politico che ha opposto il presidente del Consiglio al presidente della Regione Lombardia, colpita dal coronavirus e alle prese con la gestione delle conseguenze dell’epidemia. Si presentiva anche nelle sommesse polemiche del recente passato su come il governo nazionale aveva gestito il rapporto con la Cina, per evitare di inasprire il quale non si sarebbero prese sufficienti precauzioni contro gli eventuali turisti o uomini d’affari cinesi sbarcati in Italia.
Sul piano delle istituzioni le difficoltà delle relazioni tra Stato e Regioni sono insite nel mal configurato riparto di competenze previsto dalla riforma del Titolo V, Parte seconda, dalla Costituzione. Senza rifare tutta la storia di queste relazioni, anche in questo caso si è riproposta la tensione tra la competenza del governo nazionale e quelle regionali; sia nel settore della protezione civile sia nel campo della tutela della salute non è facile distinguere tra principi e dettagli, tra quanto spetta al livello centrale e quanto ai governi locali.
In particolare, nel settore della salute, ormai tutta l’organizzazione è in capo alle Regioni e sono queste a sentirne tutto il peso e a portarne tutta la responsabilità. Tutto milita a creare una situazione di conflitto: da un lato le Regioni, fortemente impegnate a far fronte all’epidemia, nell’occhio del ciclone e sotto gli occhi di tutti i cittadini, dall’altro lo Stato che, comprensibilmente, sente la responsabilità per un sistema Paese che è sull’orlo del collasso dal punto di vista economico.
Chi resterà col cerino in mano? Chi ne uscirà meglio agli occhi di un’opinione pubblica che è sempre in procinto di essere chiamata in causa a votare per una delle diverse parti politiche in gioco?
Sotto questa minaccia è troppo facile il rimpallo delle rispettive responsabilità, reagendo in modo scomposto ad atti quali la scelta della Regione Marche di chiudere con un’ordinanza le scuole in via precauzionale senza aver prima concordato col governo tale scelte. Nel resto delle Regioni ci si è mossi invece in sintonia, più o meno apparente, col Governo nazionale e sulla base di accordi volti a conferire ai provvedimenti anticrisi una certa uniformità, resa necessaria per non aggravare con differenti provvedimenti emanati secondo criteri differenziati la già difficile situazione del Paese.
Di qui la scelta annunciata dal Governo di impugnare l’ordinanza tramite un conflitto di attribuzioni da portare davanti alla Corte Costituzionale, unica via in questa fase capace di risolvere la cosa anche se non certo in tempi brevi.
Sul piano tecnico, non è facile per le ragioni già dette prevedere l’esito di tale ricorso, che dovrebbe avere poi un’efficacia retroattiva e restare quindi in pratica senza conseguenze. In sé, altro non appare se non una ripetizione di principio, volta a riaffermare la prevalenza del potere centrale su quelli locali, peraltro titolari anch’essi di quella funzione legislativa che è l’esito di una scelta costituzionale volta a sottolineare l’autonomia politica delle Regioni.
Tali Regioni sono invece troppo spesso considerate dal potere centrale come mere emanazioni amministrative di sé stesso, succursali delle prefetture o dei vecchi provveditorati scolastici.
Qui, certo, vi è in gioco un’emergenza nazionale, affrontare la quale richiede coordinamento, conoscenza dei fatti, visione a lungo termine ed efficacia a brevissimo: qualche motivo per dare più spazio al potere centrale ci sarebbe anche potuto essere. E, tuttavia, riaffermare il proprio potere, attaccare realtà regionali e locali già provate dalla crisi, invocare l’armonia e praticare logiche conflittuali non è certo la via migliore per collaborare e dare fiducia ai cittadini, già toccati da incertezza e paura.
Bene che il Governo stanzi 300 milioni per il made in Italy e 360 per l’export, bene che tratti con l’Europa per avere più margini di flessibilità, bene che vigili dal centro perché non si creino squilibri. Per il resto, sarebbe meglio che ciascuno faccia il proprio lavoro sostenendo e non demonizzando il lavoro degli altri. Un po’ di senso delle istituzioni e della necessaria coesione istituzionale sarebbe, in questo momento, di grande utilità.
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