La sociologia è una scienza mesta, come l’economia: non misura i contenuti morali delle azioni dei singoli come di quelle delle istituzioni (con che diritto potrebbe?), bensì le conseguenze del loro agire, in modo particolare quelle che provengono dalle posizioni strutturali che tanto i singoli individui quanto le istituzioni si trovano a occupare.
Sorprende vedere i crocieristi italiani trattati – mi sia consentito – istericamente, come se fossero gli untori della nuova pandemia e vietare a una nave di attraccare in un porto che solitamente la riceve. Sorprende vedere l’Italia iscritta nella lista delle nazioni a rischio, sospettata e messa in quarantena, come se fosse una nazione inaffidabile.
Cos’è accaduto e cosa sta accadendo? Com’è possibile che un Paese che è tra i primi del mondo sul piano della produzione manifatturiera, ma anche dell’innovazione, della progettazione e costituisce uno dei più grandi giacimenti di beni culturali esistenti, sia immediatamente messo sulla lista nera, additato tra gli infrequentabili? Per quanto questa non sia l’opinione delle istituzioni e dilaghi solo nella press people, ciò non di meno la domanda sembra legittima: perché siamo percepiti come poco affidabili? E al primo segnale di pioggia, tutti, al di là dei confini, temono la nuova eruzione del Vesuvio?
Semplicemente il mondo non si fida. Non si fida dell’Italia, degli italiani e dei loro governanti, pur invidiandoci il sole, la splendida cucina, l’alta moda, il design e la Ferrari che loro non sono riusciti a progettare, né a immaginare.
Ma ciò che è ancora più significativo è costituito dal fatto che noi stessi siamo i primi a diffidare delle nostre istituzioni, dei nostri governanti, dei nostri politici. Nel nostro Meridione trattiamo una comitiva di turisti bresciani in modo altrettanto isterico con il quale sono stati trattati i nostri crocieristi ai Caraibi. Noi siamo i primi untori del nostro Paese, siamo i primi a non credere nell’autorevolezza delle nostre istituzioni, dei nostri tecnici, dei nostri scienziati, dei nostri uomini di cultura, salvo poi scoprire che lavorano dalla mattina alla sera e invitarli al Festival di Sanremo.
È proprio in virtù di questa scarsa credibilità che un ordine di isolamento viene aggirato (anche se, per fortuna da pochi, grazie ai media) così come un invito alla calma e alla riassicurazione non viene creduto. Per questo le fake news la fanno da padrone e le peggiori corbellerie tengono banco.
Noi non ci fidiamo di chi ci governa. Forse non ci siamo mai fidati. Il modo in cui abbiamo abbattuto la Prima Repubblica, invocato le manette, assaltato in permanenza il “forno delle grucce”, dileggiato quotidianamente un Presidente della Repubblica fino a costringerlo alle dimissioni (e solo Marco Pannella si è scusato) e fatto morire un presidente del Consiglio da esule (manco ci fossero ancora gli Asburgo), ne costituiscono le prove manifeste.
La vittoria di un partito del “vaffa”, che ha ridotto il proprio programma politico all’apertura del Parlamento come di una scatoletta di tonno, è stato l’ultimo atto di un’Italia che strutturalmente crede poco o nulla ai propri governanti.
Sarebbe sciocco attaccare i comportamenti, per quanto risibili. Alla base di tutto questo c’è il nostro sistema parlamentare, che se è un capolavoro di ingegneria istituzionale ed ha il grande merito di concentrare lo scontro in Parlamento anziché nelle piazze (le risse alla Camera sono sufficienti), presenta delle punte di crisi che nel caso del Conte 2 sono arrivate ormai nella “zona rossa”.
Inutile accusare i governanti. Colgono l’occasione che il nostro sistema parlamentare offre loro e non hanno affatto bisogno di essere maggioranza nel paese, dal momento che lo sono ancora nelle due Camere. Una tale posizione richiede la “mostrificazione” (il termine è di Luca Ricolfi) di Salvini e delle “anime nere” Bagnai e Borghi, colpevoli di mettere in crisi una leadership europea (ancora) a trazione franco-tedesca e di dubitare della scelta dell’euro, dando così prova di un agnosticismo inaccettabile per fronteggiare il quale tutto è possibile: anche le alleanze tra partiti che hanno comunicato tra loro solo a colpi di denunce fino al giorno prima, pur di non lasciare il potere in mano a simili personalità.
Di fatto non c’è nessun bisogno di un nuovo governo per fronteggiare l’emergenza, ce n’è già uno, deciso in poche ore (altro che “contratto di governo” che aveva richiesto un mese di lavoro) pur di non andare al voto.
Ovviamente si può ampiamente difendere la scelta d’emergenza fatta e non sta certo alla sociologia dire se sia giusta o sbagliata (anche qui, con che diritto?). Ma la sociologia non può non dire come una fragilità strutturale diventi in questo caso un vero e proprio “caso limite” per credibilità e rappresentatività politica.
Una simile struttura determina inevitabilmente incertezza presso tutti gli osservatori: sia interni che esterni. Ma soprattutto – ed è forse il danno maggiore – determina un clima di fibrillazione permanente capace di oscurare tutto il resto. Dove le dichiarazioni contano più dei fatti. Stiamo annegando nella retorica e in questo contesto “dove tutto vela e annebbia” (e qui ovviamente non è Ricolfi, ma Manzoni) passano le scelte più pericolose, i diktat più estremi, i colpi di mano, seguiti, ovviamente, dalle risse spettacolari quanto, purtroppo, inutili.
Quanto questo non ci aiuti ad avere credibilità e rispetto sul piano internazionale appare evidente. L’Italia non merita un simile sistema parlamentare. Per quanti benefici abbia portato al Paese il suo costo in termini di mancata credibilità politica, scarsa affidabilità e scarsa autorevolezza è ormai insostenibile. Se ne parla da qualche decennio, ma non è un buon argomento per girarsi dall’altra parte, e l’Italia, posta (immeritatamente) sulla lista nera, ne è il mesto punto di arrivo.