Da una parte c’è un assessore che si unisce alla sfilza degli indagati. Dall’altra parte dimissioni che si susseguono: prima quelle della portavoce del presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana (ARS), Sabrina De Capitani.
Poi quelle dell’imprenditore Marcella Cannariato, che lascia il Consiglio d’indirizzo del Teatro Massimo di Palermo su invito del sindaco Roberto Lagalla.
Il tutto avviene nelle ore immediatamente precedenti le dichiarazioni del presidente del parlamento siciliano, Gaetano Galvagno, rese davanti ai 70 deputati regionali. Addirittura le dimissioni di Cannariato arrivano mentre all’ARS si tiene quel dibattito.
A dar vita a questo terremoto politico-mediatico è un’inchiesta iniziata quasi in sordina e decisamente sottovalutata nelle fasi iniziali. Si tratta di un’indagine sulla presunta corruzione nell’assegnazione dei fondi per gli “eventi” in Sicilia. Ad indagare è la Procura di Palermo, ma tutto inizia da segnalazioni della EPPO, la Procura europea, che dopo la chiusura di un’altra inchiesta, archiviata senza colpevoli (sul fronte penale), decide di trasmettere tutto agli uffici del procuratore Maurizio De Lucia.
Ma facciamo un passo indietro e andiamo con ordine, nel ricostruire un’indagine i cui protagonisti sono uomini e donne tutti legati a Fratelli d’Italia, il partito della premier Giorgia Meloni.
Tutto inizia quasi due anni fa da un’indagine su una mostra milionaria della Sicilia a Cannes. Un affidamento da 5 milioni e 882mila euro circa dei quali, però, 3 milioni 750mila sono stati bloccati dal presidente della Regione Renato Schifani in autotutela dopo i primi articoli sulla stampa siciliana. Un affidamento ad una società del Lussemburgo stoppato troppo tardi per evitare l’apertura del “vaso di Pandora” giudiziario.
Ad indagare su quella mostra su donne e cinema e sul contributo milionario è la Procura europea, ma lo stop ai finanziamenti blocca anche l’indagine (almeno nella sua seconda parte, la prima ancora non è noto sapere se e come si sia conclusa).
Così la Procura europea manda tutte le carte alla Procura di Palermo che apre un’indagine parallela. Il fulcro di tutto è Sabrina De Capitani, donna potente e definita “la lobbista del gruppo” dalla stampa siciliana.
In Sicilia approda con l’incarico di portavoce del presidente dell’ARS Gaetano Galvagno, uomo notoriamente vicino al presidente del Senato, Ignazio La Russa. Per la procura è lei, la De Capitani, la lobbista di riferimento di tutti gli affari degli uomini e delle donne di Fratelli d’Italia nel mondo dello spettacolo, degli eventi, della cultura.
È proprio per questo, al culmine di una fuga di notizie che dura da una decina di giorni, che Sabrina De Capitani decide di dimettersi dall’incarico di portavoce nella speranza di non trascinare il suo presidente nel fango. La scelta è arrivata solo lunedì sera dopo un martellamento insistente da parte della stampa.
Ma l’inchiesta continua a snocciolare novità.
L’ultima notizia arriva, così, all’improvviso ma non certo inaspettata. Nelle ore in cui la De Capitani si dimette, si apprende che c’è anche l’assessore regionale al Turismo Elvira Amata fra gli indagati della complessa e articolata indagine per corruzione della Procura di Palermo. La difesa dell’assessore, che ha ricevuto un avviso di proroga delle indagini addirittura prima del presidente Galvagno, lo considera un atto dovuto, nulla di più.
Ma adesso sul tavolo non ci sono più solo le utilità che imprenditori ed impresari avrebbero elargito al presidente dell’ARS Gaetano Galvagno. Quelle erano ben poca cosa: qualche biglietto per spettacoli vari, un’auto per tre giorni, un abito, qualche incarico ben retribuito ai suoi collaboratori.
La Amata, che ha sostituito Francesco Scarpinato all’assessorato al Turismo dopo lo scandalo della mostra milionaria a Cannes, sarebbe stata coinvolta, invece, indirettamente dal suo braccio destro. Sarebbe il suo capo di gabinetto vicario quello intercettato, e la vicenda è sempre quella del finanziamento da 100mila euro all’evento Magico Natale della Fondazione Dragotto alla fine del 2023. Uno dei due eventi principali dell’inchiesta Galvagno.
Ma l’indagine non si ferma a lei. Gli indagati sarebbero decine e le intercettazioni che continuano ad emergere sono ancora tutte da vagliare. Lo spaccato è quello di una donna che incontra a cena tutti gli imprenditori più importanti in Sicilia, che consiglia a Galvagno gli incarichi da assegnare per poi ritrovarsi gli uomini giusti al posto giusto quando serviranno. Sullo sfondo la preparazione della candidatura proprio dell’esponente di Fratelli d’Italia per sostituire il presidente della Regione Renato Schifani nel 2027. Una candidatura sempre negata.
Fra le decine di indagati ci sarebbero nomi noti. Nelle intercettazioni “sfuggite” i nomi sono eclissati, nascosti dietro sigle di comodo. C’è “Uomo 6”; c’è “Donna 97” ma c’è anche “Uomo 96”. E dietro queste sigle c’è chi ritiene di riconoscere assessori regionali, ex assessori regionali, rappresentanti di partito (Fratelli d’Italia), alte cariche dello Stato e non solo della Regione.
Nessuno dei nomi “oscurati” corrisponderebbe ad un attuale indagato, ma fatto sta che quei nomi, quelle figure, nelle intercettazioni ci sono. Così come di indagati ce ne sono diversi altri: collaboratori, componenti di staff, imprenditori, impresari, personaggi in vista del mondo delle professioni.
Ma questa inchiesta ancora non è chiusa. Non c’è neppure un avviso di conclusione delle indagini, solo avvisi di proroga delle medesime.
E siccome non c’è nulla che si possa ancora dire sul fronte giudiziario, il tema diventa etico e politico, con la prima richiesta ufficiale di dimissioni rivolta al presidente Galvagno dal deputato regionale Ismaele La Vardera, l’ex Iena e attuale leader del Movimento “Controcorrente” dopo essere approdato all’ARS nelle file di Cateno De Luca ed essersi allontanato dall’ex sindaco di Messina (attualmente primo cittadino di Taormina, dato in avvicinamento al governo Schifani e soprattutto al presidente Galvagno) che dice di aver letto le carte che vanno oltre quel che c’è sui giornali. Ma subito si accoda una seconda richiesta di fare un passo indietro da parte di una 5 Stelle, Roberta Schillaci.
Le richieste di dimissioni o di autosospensione, però, restano isolate. M5s nella sua globalità non sposa questa strada ed anche il presidente dell’Antimafia regionale, il Pd Antonello Cracolici, è più prudente e invita il presidente solo a riferire al parlamento.
Alla fine Galvagno parla all’ARS e lo fa lasciando anche libero sfogo ad un dibattito poco utile alla luce di quel che si sa e di quel che si può dire: “Mai ho messo il mio ruolo di presidente a disposizione di interessi personali anteponendo sempre l’interesse collettivo. Da quando sono presidente quest’aula ha approvato leggi finanziarie per un valore di 13 miliardi di euro e sempre ho voluto che ogni proposta portasse la firma del proponente”, dice il presidente del parlamento siciliano. Poi lascia la presidenza al suo vice “per rispetto delle istituzioni durante un dibattito che riguarda me” e per la prima volta nella sua storia Sala d’Ercole assiste ad un presidente seduto fra gli scranni dei deputati ad ascoltare gli altri che parlano di lui.
Attacca Ismaele La Vardera, che gli chiede di dimettersi o autosospendersi, e chiede al presidente della Regione Schifani di “silurare” l’assessore Amata ma è l’unico con questo piglio. Lo stesso Galvagno aveva poco prima ricordato all’aula che “non esiste una mozione di sfiducia al presidente dell’Ars”.
Gianfranco Miccichè, l’ex presidente di quel parlamento, si dice indignato da “un dibattito che trasforma il parlamento in un circo”, Cateno De Luca solidarizza ricordando le sue disavventure giudiziarie, i due arresti e le complete assoluzioni dopo 12 anni.
Per parte propria i capigruppo della maggioranza fanno quadrato in aula. “Come rappresentanti delle istituzioni – ha detto il deputato di Grande Sicilia Giuseppe Lombardo – abbiamo giurato sulla Costituzione, che sancisce la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, e sulla nostra Costituzione non sono consentite valutazioni a convenienza”. Il capogruppo leghista Geraci parla di una seduta “surreale”, mentre di inaccettabile “gogna mediatica” il capogruppo della Dc Carmelo Pace.
“Non si comprende il motivo del dibattito, bastava la semplice comunicazione” dice il capogruppo di Forza Italia Stefano Pellegrino, che poi attacca La Vardera “quantomeno disinformato” e Cracolici che “predica bene ma poi razzola male”.
Alla fine, fuori dall’aula, il presidente dell’Antimafia Cracolici sottolinea parole che in aula sono sfuggite e sono parole pesanti: “La vicenda Galvagno – al di là delle responsabilità individuali e penali – è paradigmatica di un contesto di degrado verso il quale dobbiamo alzare il livello di responsabilità e rigore. Se persino i collaboratori di un presidente o di un assessore si ritengono al di sopra della legge, con sistemi di scambio e di vera e propria attività corruttiva, allora la politica deve interrogarsi perché qualcuno, tradendo le funzioni della democrazia, pensa di utilizzare singoli provvedimenti o attività per averne un tornaconto personale o un beneficio”.
Insomma tutto si sposta nelle responsabilità dei collaboratori; ma l’inchiesta non è finita e fra i corridoi c’è chi, sempre più insistentemente, continua a dire: “ci rivediamo a Roma”.
(L’autore è direttore di BlogSicilia.it)
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