La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sancito l’illegittimità del controverso programma con cui Malta concedeva la cittadinanza in cambio di investimenti, definendolo una violazione dei principi comunitari: la sentenza, emessa martedì, obbliga l’isola a interrompere immediatamente uno schema attivo dal 2014 – che prevedeva l’acquisizione del passaporto maltese, e quindi europeo, attraverso un contributo minimo di 600mila euro oltre a un periodo di residenza simbolico.
Secondo i giudici di Lussemburgo, il meccanismo equivaleva a una “commercializzazione della cittadinanza” e svuotava il concetto stesso di appartenenza all’Ue di significato; dal 2015, il sistema aveva generato entrate per 1,4 miliardi di euro, attirando soprattutto magnati extracomunitari, inclusi cittadini russi e bielorussi nonostante le sanzioni successive all’invasione dell’Ucraina.
Il governo laburista di Malta – pur impegnandosi formalmente a rispettare il verdetto – ha difeso l’iniziativa come “vantaggiosa per la popolazione” ribadendo che i casi già approvati resteranno validi ma la Corte europea ha comunque giudicato insufficienti le modifiche apportate nel 2022, tra cui l’esclusione temporanea di candidati legati a Mosca. La decisione segna un punto di rottura dopo anni di critiche da Bruxelles: nel 2020 era stata avviata una procedura d’infrazione anche contro Cipro e Bulgaria, poi costretti a cancellare schemi simili e intanto, l’ex premier Joseph Muscat, architetto del programma, ha bollato la sentenza come “giudizio politico”.
Malta e le conseguenze della sentenza Ue: così finisce l’era dei “visti d’oro” in Europa
La condanna della Corte europea non colpisce solo Malta, ma stabilisce un precedente non di poco conto contro la vendita di diritti fondamentali: i giudici hanno rimarcato come l’assenza di un “legame genuino” tra lo Stato e il richiedente trasformi la cittadinanza in una transazione economica eludendo così il principio di lealtà reciproca.
Un’accusa che risuona in un continente sempre più preoccupato dall’infiltrazione di capitali opachi e dall’uso strumentale dei passaporti per aggirare controlli finanziari; la sentenza arriva inoltre in un contesto internazionale segnato da scandali legati a programmi del genere – come la Gold Card negli USA – e da pressioni per armonizzare le politiche migratorie.
Il governo dovrà adesso trovare nuove fonti di entrate – bilanciando le esigenze di trasparenza con quelle di sviluppo – e il premier Robert Abela ha già lasciato intendere possibili aggiustamenti normativi per salvaguardare investimenti futuri, anche nel rispetto delle linee guida Ue. Intanto, l’eredità dello schema rimane controversa: oltre ai profitti, ha aumentato dubbi sull’eticità di pratiche che privilegiano il denaro rispetto ai valori comunitari.