Quando il capitano Damiano Toselli varcò il portone del Quirinale una mattina del 1987 pensava di dover incontrare il prefetto Mosino. Aveva risposto positivamente all’invito a far parte della scorta del Presidente e si aspettava un colloquio di lavoro con l’uomo che a suo tempo coordinava carabinieri, polizia e corazzieri di stanza al Colle. Non si aspetta certo di incontrare personalmente Cossiga. Da quel momento divenne il suo caposcorta e per 5 anni non si separò mai da lui, condividendo ogni momento – pubblico e privato – della vita dell’ottavo presidente della Repubblica italiana, scomparso esattamente 10 anni fa.
La prima cosa che ricorda “è il rispetto assoluto che il presidente Cossiga aveva per il nostro lavoro. Mai lasciati in inutili e lunghe attese senza motivo, mai trattati come subalterni, mai un fuori programma senza prima avvisare. Poteva essere una giornata romana piena di impegni come un giorno di vacanza in un paesino remoto dell’Irlanda, c’era sempre umanità nel modo in cui trattava noi e gli altri”.
“Cossiga aveva letto il mio curriculum, voleva per sé una scorta molto professionale, di persone esperte. No, non aveva paura. Gli anni di piombo lo avevano temprato, ma non era disattento ai problemi della sicurezza, anzi curava con attenzione questo aspetto del suo lavoro”.
“Ad esempio, aveva una passione per le nuove tecnologie. Con curiosità pretendeva di essere aggiornato sull’uso di ogni aggeggio elettronico di cui disponevamo. Ricordo un viaggio a Bari in cui dedicammo tutto il tempo al primo telefonino portatile, era il primo in Italia, di cui ci aveva fatto omaggio la Telecom”.
Oggi Toselli è un colonnello dei carabinieri in pensione. Dopo aver servito l’arma in Italia e all’estero (“sono stato in Libano con la forza di pace guidata dal generale Angioni e a pensare oggi a Beirut distrutta mi piange il cuore”), si è occupato della sicurezza per la Esso, Ferrovie dello Stato e per la Telecom.
È rimasto sempre in contatto con Cossiga, fino alla fine. “Ogni due o tre mesi lo chiamavo per salutarlo e lui mi invitava a prendere un caffè a Roma, chiedeva della mia famiglia, commentava i fatti del momento, proprio come facevamo in macchina ogni giorno negli anni del suo mandato”.
“Cossiga era religiosissimo. Iniziava la sua giornata con l’andare a Messa. Molto presto, alle 6.30. Poi si andava al Quirinale, che era per lui come un ufficio, non credo che vi abbia mai dormito una notte. Aveva preferito rimanere nel suo appartamento in Prati, dove tornava anche per il pranzo. Per noi era lavoro doppio, ma era chiaro che non lo sfiorava neanche il dubbio di trasferirsi nell’austero palazzo dei papi”.
“Aveva un rapporto molto stretto con il Vaticano. Con Papa Giovanni Paolo II, certo, ma soprattutto con il cardinale Ratzinger, che vedeva a cena e con cui aveva un rapporto di profonda stima”.
“Amava invece fare le vacanze in Irlanda. Forse perché gli ricordava la sua Sardegna, più fresca d’estate e sicuramente con meno problemi legati alla sua notorietà. Ma anche lì era spesso fermato dalla gente per strada, riconosciuto, salutato con simpatia”.
“Era un presidente popolare? Sì, era molto amato. Dovunque andavamo era sempre accolto con affetto. Non ricordo contestazioni, fischi, polemiche al suo arrivo. Certo, anni diversi, c’era più rispetto per la politica, ma ricordo che, soprattutto verso la fine del suo mandato – insomma, quando incominciò a fare il ‘picconatore’ –, l’accoglienza si era fatta addirittura più intensa, si sentiva che tra la gente semplice c’era maggiore sostegno, chi assisteva al suo arrivo voleva fargli sentire il suo consenso”.
“Ricordo un lungo viaggio negli Stati Uniti. Era il 1988, forse il 1989. Anni molto particolari, a ripensarci oggi. Incontrò a lungo Bush padre alla Casa Bianca, eravamo a pochi mesi dalla caduta del Muro. Poi facemmo un lungo giro per le comunità italiane sparse per il Nord America, e anche lì tanto entusiasmo, era amato, apprezzato, rispettato”.
“Era un politico di altri tempi, ma guardava avanti, era curioso, ironico. Aveva capito – dal suo osservatorio privilegiato – che il mondo stava cambiando, anzi era già cambiato e provava irritazione verso coloro che facevano finta di niente. Non si rendevano conto che nulla sarebbe stato più come prima. Devo dire oggi, con il senno di poi, che sentivamo di lavorare per un signore che era 10 anni avanti agli altri, che cercava disperatamente di far capire ai suoi colleghi che non serviva a niente essere ‘conservatori’, che il cambiamento era urgente. Altrimenti sarebbero stati i fatti a cambiare le persone, come poi effettivamente è stato”.
“Ricordi particolari? Davvero tanti, anni della mia vita a cui tengo molto. Dovendo scegliere, direi il tè delle cinque d’estate in Irlanda, in qualche cottage scelto da me in riva al mare; le visite da Marinella a Napoli, con relativa cravatta in regalo; la partita di inaugurazione dei Mondiali del ’90, dove capitai seduto tra lui e Pelé”.