Covid, allarme cardiologi/ “Di questo passo più morti di infarto che di coronavirus”
Lancia l’allarme la federazione dei cardiologi: “Depotenziamento dei reparti, così si morirà più di infarto che di covid”

Fra i tanti risvolti negativi della pandemia covid, come ripetono ormai da mesi i medici e gli scienziati, il fatto che le cure per i malati di coronavirus tolgono importanti “attenzioni” a tutte le persone con altre patologie, anche gravi. Ha posto l’accento sulla questione la FOCE, Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi, che di fronte al continuo aumento di posti letto covid a discapito degli altri reparti, ha spiegato: “Denunciamo la gravissima situazione che si sta determinando negli ospedali del nostro Paese a danno dei pazienti cardiologici a causa della pandemia. Dalla Lombardia alla Sicilia vengono ridotti i posti letto cardiologici per fare posto ai pazienti Covid, addirittura vengono chiuse intere unità di terapia intensiva cardiologica (UTIC) e convertite in terapie intensive per pazienti Covid”. La FOCE ricorda inoltre come il personale sanitario si sta contagiando “determinando la paralisi delle attività di importanti hub cardiologici”.
COVID, ALLARME CARDIOLOGI: “NON POSSIAMO PERMETTERE CHE CIO’ ACCADA”
Ecco che quindi la federazione di oncologi, cardiologi ed ematologi lancia l’allarme: “Non possiamo permettere che si protragga questa situazione, il rischio concreto è di avere nelle prossime settimane più morti per infarto che per Covid perché le patologie cardiovascolari sono tempo-dipendenti”. A sottolineare la delicatezza della questione anche il professor Ciro Indolfi, Vicepresidente FOCE e Presidente SIC, che parlando della mortalità dei pazienti ricoverati nelle Unità di Terapia Intensiva Coronarica, ha svelato: “A marzo 2020, si è registrata una mortalità tre volte maggiore rispetto allo stesso periodo del 2019, passando al 13,7% dal 4,1 %. Un aumento dovuto nella maggior parte dei casi a un infarto non trattato o trattato tardivamente”. E’ fondamentale, per queste patologie, la tempestività di intervento: “Ogni 10 minuti di ritardo nella diagnosi e nel trattamento di un infarto miocardico grave – spiega ancora Indolfi – la mortalità aumenta del 3% e un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi può addirittura quadruplicare la mortalità”. Ecco perchè secondo Indolfi non è possibile depotenziare le cardiologie, ed è necessario “ri-organizzare negli ospedali percorsi ad hoc per i pazienti cardiopatici acuti che dal territorio si ricoverano in urgenza”.
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