Tra M5s e Pd il confronto è aperto: “sono state avviate iniziative per un’intesa in Parlamento per un nuovo governo” ha detto il presidente Mattarella al termine della seconda giornata di consultazioni. Per questo il capo dello Stato ha deciso di concedere altro tempo ai due partiti – fino a martedì prossimo – per trovare un accordo solido, politico, che abbia come orizzonte la fine della legislatura. Di Maio ha snocciolato 10 punti come base per discutere, ricevendo dai gruppi parlamentari il mandato a incontrare il Pd. “Dalle parole e dai punti programmatici esposti da Di Maio emerge un quadro su cui si può sicuramente iniziare a lavorare” ha fatto sapere Zingaretti, che in mattinata aveva posto tre condizioni non trattabili per l’alleanza: no al taglio dei parlamentari, accordo preliminare sulla legge di bilancio, abrogazione del decreto sicurezza. Tre punti che, riaprendo teoricamente l’ipotesi del voto, hanno messo in allarme (poi rientrato) i renziani del Pd.
Il negoziato, dunque, è avviato, ma Mattarella vuole risultati in tempi brevi, altrimenti – ha detto ieri ancora il capo dello Stato – scioglierà le Camere. Secondo Stefano Folli, editorialista di Repubblica, Mattarella “si sta spendendo in prima persona per arrivare a un accordo di buon livello, che ancora non c’è”. Ma che è destinato ad arrivare.
Folli, al momento come stanno le cose?
Il problema politico rimane la volontà e la capacità politica del Pd di accettare l’abbraccio con il Movimento 5 Stelle. Lo dimostra la lacerazione che c’è stata nei democratici dopo che Zingaretti ha posto le sue condizioni “non negoziabili”, tra ai quali il no al taglio dei parlamentari. I renziani gli contestano di essere stato troppo duro.
Lei cosa dice?
È un punto politico molto delicato che va chiarito e che tocca la qualità dell’accordo con M5s. I Cinquestelle dal canto loro hanno fatto delle aperture, ma non sulla riduzione dei parlamentari. Potrebbero farlo nelle prossime ore.
Come va interpretato il messaggio di Mattarella?
L’accordo politico forte che vuole il presidente della Repubblica al momento non c’è. Magari ci sarà lunedì, ma al momento non c’è.
Perché il capo dello Stato ha concesso altro tempo?
Per premere sugli attori della crisi. L’aver detto che è pronto a sciogliere il Parlamento se non c’è accordo “su un programma per governare il paese” vuol dire che l’accordo dev’essere di sostanza, guardare potenzialmente alla fine della legislatura.
Se il presidente preme in questa direzione, vuol dire che la strada è già tracciata.
Sapevamo tutti che questa maggioranza politica virtualmente c’era ma andava verificata. A stasera (ieri, ndr), però, le premesse convincenti di un accordo politico ancora non ci sono. Ci sono delle aperture, più caute da parte di Zingaretti, più evidenti da parte dei 5 Stelle, che non vogliono tornare a votare.
Per Zingaretti il voto sarebbe un’occasione irripetibile per disfarsi dei renziani.
Sulla carta sì; il prezzo però sarebbe molto alto. Si troverebbe a gestire le elezioni con mezzo partito che lo accuserebbe di aver rinunciato ad un governo di sinistra per ragioni di potere interno.
In questa partita l’incognita di chi dovrà fare il capo del governo quanto pesa? Lei stesso ha scritto che “gli accordi si fanno o falliscono sui nomi dei protagonisti, anziché sui nodi del programma”.
Pesa molto, e pesa anche la composizione del governo. La scelta di chi guiderà il governo è fondamentale, non credo che si possa pensare a un nuovo Conte, una figura di garanzia tra due partner che si sono avversati fino all’altro giorno. Se l’accordo e la maggioranza devono essere politiche, come dice Mattarella, allora è chiaro che anche il presidente del Consiglio dev’essere una figura politica, capace di vera sintesi.
Cosa pensa dei nomi che circolano?
Difficile fare pronostici. Il Corriere della Sera ha fatto il nome della giudice costituzionale Cartabia, una figura di indubbio spessore. Mi sembra però più adatta a guidare un governo elettorale che una maggioranza politica. Serve un personaggio più caratterizzato politicamente, e forse anche più esperto.
Come Enrico Letta?
Letta andrebbe benissimo, ma finirebbe per frantumare ancora di più il Pd, che è già ampiamente sull’orlo di una crisi di nervi.
Come commenta il discorso di Salvini dopo l’incontro con Mattarella?
Non mi è sembrato molto convincente. In sostanza ha detto: ho fatto di tutto per essere disponibile a riprendere la collaborazione ma M5s non ha voluto e si è messo con la sinistra. Il suo è stato un messaggio elettorale, non una vera apertura politica.
Però si è nuovamente detto disponibile a votare il taglio dei parlamentari con M5s.
Questo è un elemento che potrebbe pesare, non tanto sulla trattativa aperta quanto nel rapporto con l’elettorato. Se per caso Di Maio facesse un compromesso sul taglio dei parlamentari per venire incontro alle posizioni del Pd, Salvini potrà dire agli elettori che M5s si è rimangiato la riforma mentre lui era pronto a votarla.
L’accordo M5s-Pd sembra all’orizzonte, però se mettiamo insieme le incertezze, le condizioni poste, la necessità di trovare un compromesso sui punti di programma e sulle persone, si direbbe che i giochi sono ancora aperti.
È così. In questa fase l’elemento politico si intreccia enormemente con quello elettorale.
Allora neppure per lei il voto è scongiurato.
No, tutto è ancora appeso a un filo. Il presidente della Repubblica si sta spendendo in prima persona per arrivare a un accordo di buon livello, ma siamo ancora in alto mare.
Però ieri ha detto che se l’accordo non ci fosse, resterebbero solo le urne.
Il voto è una pistola carica che il capo dello Stato ha mostrato come deterrente. E davanti a un nulla di fatto, sarebbe pronto ad usarla.
(Federico Ferraù)
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