A poche ore dalla conferenza stampa di Renzi, tra i senatori della maggioranza alle prese con l’approvazione in extremis della legge di bilancio, è incominciata a circolare la notizia che il leader di Italia viva avrebbe a sorpresa annunciato il voto contrario alla fiducia e l’apertura della crisi.
Dopo poco, alle 18, la notizia si rivelerà un falso allarme. Il segretario di Iv ha infatti usato toni molto critici sul lavoro fatto dal governo, ma ha rinviato la resa dei conti all’anno nuovo.
In particolare Renzi se l’è presa con chi sta preparando il Recovery Plan. Non ha esitato a giudicare la bozza predisposta dal gruppo di lavoro insufficiente, senza ambizioni e privo del necessario coraggio, e ha avanzato ben 61 correzioni, un modo chiaro per dire che a sua avviso andrebbe totalmente riscritta. Ha poi rilanciato sul Mes, riportato alla luce diverse proposte già usate durante il suo mandato di premier come lo “ius culturae” (incentivi per accogliere stranieri nelle nostre università), l’Alta velocità un po’ dappertutto, la parità di genere. Rimandando il resto alle slide del progetto Ciao (cultura, infrastrutture, ambiente e opportunità) che è possibile trovare sul sito del partito da ieri mattina.
Ormai Renzi non si limita alla critica al solo Conte. Le obiezioni non riguardano solo il ruolo della task-force, la delega sui servizi e l’uso del fondo salva-Stati per la sanità. L’attacco è a tutto il governo, e in particolare ai ministri di punta del Pd, Gualtieri ed Amendola in testa. Il primo ha da tempo stabilito un rapporto privilegiato con il premier e ne ispira totalmente la politica economica e le scelte in Europa. Il secondo è il ministro che ha materialmente scritto il piano, l’unico che lo conosce nel dettaglio, e sono sue le “mani di forbice” che hanno ridotto da oltre 800 a 209 miliardi i progetti pervenuti da Enti locali, Regioni e forze sociali. È loro la colpa se è un documento senza “un’anima”.
Dopo la conferenza stampa è abbastanza chiaro che Renzi non farà tanto facilmente marcia indietro. Alza il tono dello scontro. Aggiunge punti e titoli ai già numerosi motivi di conflitto. Si prepara alla mossa che tutti si aspettano: il ritiro delle due ministre e del sottosegretario.
Considerato che Conte non sembra disponibile a recedere quasi su niente (a parte cambiare nome alla task-force), è assai probabile che la crisi si aprirà sul serio all’alba del nuovo anno. Renzi pensa seriamente di sostituire Conte e ottenere più potere, dà per scontato che non si può andare al voto, che Pd e M5s temono sopra ogni cosa la verifica elettorale e che Mattarella alla fine accetterà ancora un volta il volere dei partiti.
In realtà egli sottovaluta i messaggi ricevuti in questi giorni da esponenti di peso del Pd. Infatti sia Franceschini che Bettini – i due pilastri dell’attuale maggioranza zingarettiana – hanno espresso chiaramente la volontà di andare, nel caso che effettivamente Renzi decidesse per la crisi, a nuove elezioni con un accordo tra gli attuali partiti di maggioranza leali al premier Conte, a cui sarebbe affidata non solo la guida della coalizione ma anche il compito di organizzare una nuova forza elettorale. Progetto difficile da realizzare? Direi proprio di no, anzi esso appare l’unico piano B degno di essere preso in considerazione.
Intanto gioca a favore di questa scelta il fatto che, proprio per colpa di Italia viva, non c’è una nuova legge elettorale. In caso di elezioni anticipate andremo infatti al voto con il “Rosatellum”, previa riduzione di un terzo dei collegi e degli eletti. Ed è evidente che una alleanza Pd-5Stelle, rafforzata da una “lista Conte”, potrebbe non solo essere vincente in tutto il Centro-Sud ma diventare competitiva anche in alcune zone del Nord, come ad esempio in Liguria.
Il secondo argomento a favore del piano B sta nel fatto che il consenso maturato intorno al premier durante la gestione della pandemia andrebbe rapidamente raccolto. Alla lunga potrebbe affievolirsi, mentre oggi sembra un consenso solido – su questo concordano tutti i sondaggisti – e sufficiente a dare una casa a molti “uscenti” in cerca di un facile approdo.
Infine, se possiamo considerare il gruppo dirigente del Pd – a cominciare da Zingaretti – da sempre propenso al voto e interessato a cambiare i propri gruppi parlamentari (ancora troppo legati all’ex segretario), la novità potrebbe proprio essere rappresentata dal cambio di atteggiamento dei 5 Stelle. Se è vero che la loro rappresentanza ne uscirebbe in ogni caso più che dimezzata, una lista Conte di supporto sarebbe un modo per non disperdere del tutto le proprie forze. Senza contare che combinando politiche ed amministrative molti dei problemi aperti – a cominciare dal comune di Roma – troverebbero una facile e ragionevole soluzione.
È ancora convinto il furbissimo Renzi di fare il playmaker a cui spettano le prossime mosse e non – ancora una volta, come già è successo lo scorso agosto – il “servo sciocco” della nuova maggioranza sognata a suo tempo da Grillo e messa in opera da Zingaretti, Di Maio e Conte?
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