Qual è il principale compito di un’organizzazione sindacale? Difendere i lavoratori e garantire condizioni di lavoro, a partire dalla salute e sicurezza, giuste e dignitose, applicando i contratti collettivi nazionali che regolano i settori produttivi e diffondendo il welfare aziendale.
Le trasformazioni economiche e sociali che si sono succedute in questi ultimi 20 anni hanno reso questa funzione ancora più complicata e sfidante. La globalizzazione dei mercati, la competizione sleale con economie aggressive che non tutelano i lavoratori, la salute e l’ambiente, potendo permettersi quindi prezzi delle merci bassissimi, a discapito della qualità del lavoro, della valorizzazione delle competenze e delle professionalità, dello sviluppo sostenibile; la diffusione di contratti atipici, di una precarietà mascherata da flessibilità; una classe politica sempre più in affanno nel trovare soluzioni adeguate, hanno portato, soprattutto in Italia, ad un aumento della disoccupazione giovanile, che si è affiancata ad una disoccupazione femminile sempre presente e mai superata, alla quale adesso, se non saranno attuate misure adeguate, si aggiungerà un aumento della disoccupazione di lavoratori adulti con competenze obsolete, che rimarranno schiacciati dalla transizione verde e digitale.
Questo scenario dovrebbe far comprendere che il compito delle organizzazioni sindacali non si è esaurito con l’avvento di società moderne democratiche, ricche e libere, come alcuni vogliono far credere; al contrario, le sfide si sono moltiplicate a causa della complessità delle trasformazioni sociali ed economiche attuali, alle quali si aggiungono le insidie di malattie nuove in grado di trasformarsi in pandemie e gli sconvolgimenti geopolitici ai quali stiamo assistendo in questi mesi, che rischiano di far saltare equilibri che credevamo ormai consolidati.
È necessario un nuovo patto sociale che parta dal riconoscimento del valore etico del lavoro sia da parte di chi lo offre, sia di chi lo domanda. Le polemiche di questa estate e della campagna elettorale sul lavoro, sul reddito di cittadinanza, sui giovani che non accettano lavori sottopagati perché hanno strumenti di sostegno del reddito i cui costi gravano su tutta la collettività, devono farci comprendere che le soluzioni finora adottate per combattere la disoccupazione, soprattutto dei giovani e delle donne, sono inefficaci. Non si possono tenere insieme gli strumenti per combattere la povertà, cioè l’assistenza, con gli strumenti per garantire l’occupabilità delle persone. Questa sfida è stata persa definitivamente e anche chi l’ha sostenuta deve riconoscerlo.
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede una serie di strumenti che scardinano questa visione e che si concentrano invece sul binomio lavoro e competenze. Istruzione, formazione e lavoro, questi tre elementi sì che devono viaggiare insieme ed essere sempre più interconnessi. Mai come in questo periodo il detto “non si finisce mai di studiare” è vero. Grazie e a causa della tecnologia e della velocità con cui si evolve, ciascuno di noi, a tutte le età, dovrà continuare a studiare, a formarsi, ad aggiornare e migliorare le proprie competenze per poter lavorare e garantirsi uno stipendio, orari di lavoro e modalità di erogazione della prestazione, che proprio grazie alla tecnologia e all’allineamento costante delle competenze saranno equi, sostenibili e soddisfacenti sia per il lavoratore che per il datore di lavoro.
Le organizzazioni sindacali allora devono intervenire per contrattare questi strumenti, per calarli nelle singole realtà produttive e fare in modo che con la formazione e l’apprendimento permanente i lavoratori possano dare il loro contributo fattivo alla crescita delle imprese e, dall’altro, possano ottenere retribuzioni e condizioni di lavoro stabili e dignitose. La sfida che abbiamo davanti è difficile, ma la quantità di risorse impiegate per riformare le politiche attive, per investire sulle competenze, per realizzare servizi di presa in carico, accompagnamento, validazione e certificazione delle competenze sia di giovani che di adulti devono spingerci a credere che questa sia la volta buona per dotare il nostro paese di servizi adeguati a garantire l’occupabilità di giovani, donne e adulti e per ridurre la disoccupazione a livelli fisiologici e non più emergenziali.
Ci aspettiamo, dunque, dal nuovo governo lo stesso impegno di quello attuale nel portare a termine le riforme che mancano per disegnare il sistema prima tracciato. Mancano, infatti, tutti i decreti attuativi della riforma degli Istituti tecnologici superiori, una filiera strategica per garantire l’occupabilità dei nostri giovani in aree tecnologiche e profili professionali richiestissimi dalle imprese; vanno aumentate e diffuse omogeneamente in tutto il paese le occasioni di apprendimento duale, in particolare l’apprendistato di primo e terzo livello; bisogna monitorare e valutare attentamente l’attuazione da parte delle Regioni dei piani di attuazione regionali del piano garanzia occupabilità.
Ma non solo: manca ancora la riforma dell’orientamento per noi centrale per combattere la dispersione scolastica e cercare di coniugare aspirazioni e talenti dei ragazzi e ragazze con le necessarie prospettive di occupabilità. Nessuno può essere costretto a intraprendere un percorso a lui/lei non congeniale, ma l’assenza di informazioni e la mancanza di conoscenza delle diverse professioni e delle caratteristiche del nostro sistema produttivo è alla base di molte scelte sbagliate e di uno spreco di talenti e capacità drasticamente rappresentato dalla percentuale di Neet che è tra le più alte d’Europa.
Questo solo per citare alcune delle tante cose da realizzare. È certo che noi come Cisl saremo sempre lì a fare da stimolo e a richiedere una partecipazione e condivisione delle misure a chiunque si troverà a governare questo paese alla fine di settembre.
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