La diretta di questa sera della trasmissione Cose Nostra – in onda tutti i lunedì su Rai 1 con la conduzione di Emilia Brandi a partire dalle ore 23:30 e interamente incentrata sulle storie di mafie – si occuperà del rapimento della 18enne milanese Cristina Mazzotti da parte – si scoprirà, ovviamente, più tardi, durante i processi – della ’Ndrangheta, con il triste primato di primissima donna rapita a scopo estorsivo: una storia piuttosto lunga e che risale al 1975, con gli effettivi presunti ideatori e mandanti del rapimento di Cristina Mazzotti che, a 40 anni di distanza (quasi) esatta dai fatti, sono ancora in attesa di un giudizio effettivo.
Ripercorrendo l’intera storia del rapimento di Cristina Mazzotti, ovviamente, è importante partire dall’inizio, e per farlo dobbiamo spostarci in quel di Eupilio – comune alle porte di Como – nella notte del 30 giugno del 1975: la 18enne, quella sera, stava rincasando dopo aver festeggiato il suo 18esimo compleanno nella vicina Erba, figlia di un noto imprenditore dell’area – Elios Mazzotti, dirigente della “Mazzotti e Co.” – venne prelevata a due passi dalla villa familiare da quattro uomini a bordo di due auto e, mentre i suoi amici vennero poi abbandonati, ancora legati, nei pressi di Appiano Gentile, per Cristina Mazzotti si aprì il lungo periodo di prigionia.
Il lungo rapimento di Cristina Mazzotti, la morte durante la prigionia e i processi ancora in corso
Facendo un piccolo salto avanti nel tempo, oggi possiamo dire per certo – dopo tutti i processi che si sono celebrati sul rapimento – che Cristina Mazzotti venne portata in una cascina nella periferia di Castelletto sopra Ticino: la ragazza venne rinchiusa in una piccola stanza di cemento interrata, larga 1,55 metri e lunga 2,65, con un solo tubo che la collegava all’esterno per permetterle di respirare; mentre, durante i giorni di prigionia, fu nutrita con due panini giornalieri e ingenti dosi di Valium.
Alla famiglia di Cristina Mazzotti i rapitori chiesero inizialmente un riscatto pari a 5 miliardi di lire, poi abbassato a 1,5 ed incassato nei primi giorni di agosto; mentre, nel frattempo, a causa delle pessime condizioni in cui era detenuta e dell’eccessivo quantitativo di Valium somministrato, la 18enne morì presumibilmente nella notte tra il 30 luglio e il primo agosto e venne trovata, ormai scheletro, solamente il successivo primo settembre, alle porte di Novara.
Inizialmente, gli inquirenti brancolarono nel buio per ricostruire chi fossero i rapitori di Cristina Mazzotti, ma la svolta arrivò poco dopo il pagamento del riscatto, quando tale Libero Ballinari depositò in banca 56 milioni di lire: il direttore della banca lanciò l’allarme e, dopo l’ipotesi di riciclaggio di denaro, i soldi vennero riconosciuti come parte del riscatto e, da lì, si arrivò a 13 differenti condanne, con i mandanti del rapimento (finiti a processo solamente lo scorso settembre) riconosciuti nei boss della ’Ndrangheta Giuseppe Morabito, Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia.