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Home » Cinema e Tv » Programmi tv » Cristina Mazzotti: chi era/ La prima donna sequestrata dalla ‘Ndrangheta: morta dopo 30 giorni di prigionia

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Cristina Mazzotti: chi era/ La prima donna sequestrata dalla ‘Ndrangheta: morta dopo 30 giorni di prigionia

A Cose Nostre, su Rai 1, la storia di Cristina Mazzotti: la prima donna rapita dalla 'Ndrangheta e morta dopo 30 giorni di prigionia

Lorenzo Drigo
Pubblicato 9 Giugno 2025
Cristina Mazzotti

Cristina Mazzotti (Foto: web)

La diretta di questa sera della trasmissione Cose Nostra – in onda tutti i lunedì su Rai 1 con la conduzione di Emilia Brandi a partire dalle ore 23:30 e interamente incentrata sulle storie di mafie – si occuperà del rapimento della 18enne milanese Cristina Mazzotti da parte – si scoprirà, ovviamente, più tardi, durante i processi – della ’Ndrangheta, con il triste primato di primissima donna rapita a scopo estorsivo: una storia piuttosto lunga e che risale al 1975, con gli effettivi presunti ideatori e mandanti del rapimento di Cristina Mazzotti che, a 40 anni di distanza (quasi) esatta dai fatti, sono ancora in attesa di un giudizio effettivo.


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Ripercorrendo l’intera storia del rapimento di Cristina Mazzotti, ovviamente, è importante partire dall’inizio, e per farlo dobbiamo spostarci in quel di Eupilio – comune alle porte di Como – nella notte del 30 giugno del 1975: la 18enne, quella sera, stava rincasando dopo aver festeggiato il suo 18esimo compleanno nella vicina Erba, figlia di un noto imprenditore dell’area – Elios Mazzotti, dirigente della “Mazzotti e Co.” – venne prelevata a due passi dalla villa familiare da quattro uomini a bordo di due auto e, mentre i suoi amici vennero poi abbandonati, ancora legati, nei pressi di Appiano Gentile, per Cristina Mazzotti si aprì il lungo periodo di prigionia.


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Il lungo rapimento di Cristina Mazzotti, la morte durante la prigionia e i processi ancora in corso

Facendo un piccolo salto avanti nel tempo, oggi possiamo dire per certo – dopo tutti i processi che si sono celebrati sul rapimento – che Cristina Mazzotti venne portata in una cascina nella periferia di Castelletto sopra Ticino: la ragazza venne rinchiusa in una piccola stanza di cemento interrata, larga 1,55 metri e lunga 2,65, con un solo tubo che la collegava all’esterno per permetterle di respirare; mentre, durante i giorni di prigionia, fu nutrita con due panini giornalieri e ingenti dosi di Valium.


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Alla famiglia di Cristina Mazzotti i rapitori chiesero inizialmente un riscatto pari a 5 miliardi di lire, poi abbassato a 1,5 ed incassato nei primi giorni di agosto; mentre, nel frattempo, a causa delle pessime condizioni in cui era detenuta e dell’eccessivo quantitativo di Valium somministrato, la 18enne morì presumibilmente nella notte tra il 30 luglio e il primo agosto e venne trovata, ormai scheletro, solamente il successivo primo settembre, alle porte di Novara.

Inizialmente, gli inquirenti brancolarono nel buio per ricostruire chi fossero i rapitori di Cristina Mazzotti, ma la svolta arrivò poco dopo il pagamento del riscatto, quando tale Libero Ballinari depositò in banca 56 milioni di lire: il direttore della banca lanciò l’allarme e, dopo l’ipotesi di riciclaggio di denaro, i soldi vennero riconosciuti come parte del riscatto e, da lì, si arrivò a 13 differenti condanne, con i mandanti del rapimento (finiti a processo solamente lo scorso settembre) riconosciuti nei boss della ’Ndrangheta Giuseppe Morabito, Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò e Antonio Talia.


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