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Home » Cronaca » CROLLO NASCITE/ “Ci servirebbero 2,1 figli per donna: accontentiamoci di fermare il calo, ecco come”

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CROLLO NASCITE/ “Ci servirebbero 2,1 figli per donna: accontentiamoci di fermare il calo, ecco come”

Int. Gian Carlo Blangiardo
Pubblicato 12 Maggio 2025
Bambini che giocano al centro estivo

Bambini che giocano al centro estivo

Calo nascite: per una ricerca giapponese servono 2,7 figli per donna. L’Italia è a 1,18. Qualcosa si sta facendo ma anche il 2025 è iniziato male

Il calo delle nascite non si arresta: anche il 2025, da questo punto di vista, è cominciato male. E, se teniamo conto di una ricerca dell’Università giapponese di Shizuoka, la risalita è sempre più difficile: il numero di figli per donna per mantenere la popolazione finora era indicato a 2,1, ma, secondo questi nuovi calcoli, salirebbe a 2,7, rendendo ancora più difficile la ripresa demografica. In Italia, che soffre di questo problema come tutti i Paesi occidentali, il tasso di fertilità ora è all’1,18.


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Al di là della precisione o meno della nuova stima, resta comunque il problema di una diminuzione dei nuovi nati che non si arresta: già l’obiettivo 2,1 è poco realistico; il Paese occidentale che è messo meglio oggi è la Francia, che, grazie alle sue politiche, vanta l’1,7.

Per l’Italia, osserva Gian Carlo Blangiardo, già presidente dell’Istat, docente emerito di demografia all’Università di Milano-Bicocca, sarebbe già molto arrestare la diminuzione delle nascite. Qualcosa per sostenere le famiglie è stato fatto e, se non altro, rispetto al passato, ora anche a livello governativo ci si pone il problema. Una piccola svolta culturale di cui tenere conto. Per cambiare le cose, però, ci vorrà tempo.


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Hanno ragione i giapponesi? Abbiamo bisogno di fare ancora più figli di quelli che pensavamo per sfuggire alle conseguenze del calo demografico?

Il livello di riferimento, per una questione di buon senso, è quello di due figli per coppia: due persone che lasciano il posto ad altre due. Se vogliamo fare un’analisi più raffinata, in realtà non bastano, perché nella popolazione umana nascono 105-106 maschi ogni 100 femmine, il che vuole che, su mille figli, non vengano al mondo esattamente 500 bambini e 500 bambine. Insomma, se una donna ha due figli, non c’è sempre una bambina che sostituisce una mamma, perché mille mamme non fanno mille figlie, ma ne fanno solo 900.


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Ci sono anche altri fattori da considerare per individuare il numero necessario di figli per madre?

C’è un altro aspetto da considerare, quello della sopravvivenza: le bambine che nascono per sostituire le loro mamme devono arrivare all’età in cui possono avere dei figli, e alcune di queste, in Italia poche, possono morire prima. È un elemento di cui tenere conto, naturalmente soprattutto là dove è più alto il livello di mortalità infantile.

Alla fine qual è la quota alla quale ci sarebbe il ricambio generazionale perfetto in Italia?

Se prendiamo i dati di sopravvivenza della popolazione italiana del 2024 e teniamo conto del fatto che nascono più maschi che femmine, per avere mille bambine che sostituiscono mille mamme dovrebbero nascere 2,07 figli per donna. Per i miei calcoli, in Italia dovrebbe essere così. Non so, comunque, come la ricerca giapponese sia arrivata a fissare 2,7.

Raggiungere quota 2,1 figli per donna che cosa significherebbe in termini di popolazione?

Permetterebbe di mantenerci come siamo ora, non di tornare come eravamo o di guadagnare qualcosa in termini numerici. Servirebbe a fare in modo che una generazione venga sostituita da un’altra generazione. Poi, naturalmente, il gioco che determina i numeri finali, i 58-59 milioni di abitanti che siamo, dipende da tanti fattori, anche dal fatto che si allungano i tempi di sopravvivenza. Se le nascite sono poche, ma la gente sopravvive più a lungo, la popolazione numericamente tiene. Anche se non c’è un effetto ricambio sufficiente, che si manifesta comunque nel medio periodo.

In quanto tempo potremmo raggiungere l’obiettivo 2,1 figli per donna?

In Europa non c’è nessuno che si avvicina al 2,1 e neanche al 2. Chi va meglio è la Francia, che viaggia intorno a 1,7. Per quanto riguarda gli altri, c’è la Svezia: è 1,5-1,6, più o meno. Comunque, i livelli nei Paesi più sviluppati sono questi. Gli USA sono intorno al 2. Non c’è la prospettiva di arrivare a quel livello. Quello che possiamo sperare è che ci sia una ripresa rispetto all’1,18 dell’Italia ora. Il primo obiettivo è rialzare la testa: sarebbe già un bel risultato fermare la caduta.

Finora non ci sono segnali che fanno pensare a una ripresa?

Se parliamo del 2025, l’Istat ha già messo in circolazione i dati del primo mese: confrontandoli con quelli del 2024, si vede già che ci sono almeno un migliaio di nati in meno (6% in meno, nda). Insomma, anche quest’anno è partito con il piede sbagliato. In questa situazione, fermare la caduta sarebbe già una gran cosa; se passassimo da 1,18 a 1,4, sarebbe già un risultato strepitoso; se arrivassimo a 1,6-1,7 nell’ambito di una ventina d’anni, potremmo essere contenti. Però non si possono fare miracoli, né in Italia né in Europa.

Ma si sta facendo abbastanza, dal punto di vista politico, almeno per incamminarci su questa strada?

Se abbiamo una Ferrari che va a 180 all’ora e sfioriamo il freno, non possiamo pensare che si fermi immediatamente: ci vuole tempo. Credo che l’elemento importante, almeno per ora, sia aver toccato il freno. Queste cose le dicevo quando avevo 40 anni, e con me le sostenevano anche alcuni demografi più prestigiosi: allora nessuno ci filava. Oggi di anni ne ho quasi il doppio, e vedo che finalmente c’è qualcuno che è molto sensibile a questi discorsi. È chiaro che si fatica a fermare il calo delle nascite: l’anno scorso ci sono stati 370.000 nati, che sono i genitori del futuro. Se la metà sono bambine, fra trent’anni potremmo avere 180.000 mamme. Una volta, invece, quando nasceva un milione di bambini, le mamme potenziali, 30 anni dopo, potevano essere mezzo milione. Con i numeri attuali, insomma, è difficile ribaltare la situazione.

Che prospettive abbiamo allora?

L’assegno universale è stata una buona cosa. L’idea del congedo parentale esteso anche ai papà, altrettanto. Sono piccoli interventi, con le risorse che ci sono: stiamo parlando di un ministero che non ha neanche il portafoglio, e tutti sappiamo che non c’è da scialare con 3.000 miliardi di debito pubblico. È positivo che si cerchi di fare qualcosa, perché potrebbe alimentare una maggiore attenzione al problema da parte di tutti. Si può immaginare un salto culturale. La consapevolezza, anche a livello governativo, è che abbiamo un problema: è già un risultato.

Cosa bisogna fare in concreto?

Si è cercato di dare una mano, ad esempio, riguardo ai secondogeniti. Valorizziamo i fratelli, perché ormai, nella società del figlio unico o del non figlio, l’idea del fratello ha un valore importante da tanti punti di vista: aiutare chi ha un secondo figlio è anche un modo per rilanciare un valore che, nella nostra società, è sempre stato importante. Una sensibilità di questo tipo, certe aree politiche non l’hanno mai avuta. Sui risultati, non aspettiamoci miracoli: incrociamo le dita e stiamo a vedere.

(Paolo Rossetti)

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