Dopo aver ricevuto e letto alcuni commenti al mio articolo sulla decisione della Corte di Strasburgo, mi sento in dovere di reintervenire, perché mi viene il dubbio che i lettori, presi dalla reazione del pro o contro la sentenza, si siano persi la parte che più mi sta a cuore di quello che volevo mettere in luce. Per far questo lascio per un attimo da parte la sentenza, su cui mi sono già espresso, e racconto una storia.
Giovanni e Romano sono due ragazzini dei giorni nostri che abitano nella stessa zona. Si vedono spesso al parco e giocano tra di loro. Un giorno Giovanni invita Romano a casa, passano il pomeriggio insieme e a un certo punto, in salotto, Romano vede qualcosa di nuovo e chiede: “Cos’è quella cosa lì?”; e Giovanni dice a Romano che è un crocefisso, e poi con i genitori gli spiega che cosa rappresenta.
Romano torna a casa e, prima di andare a letto, chiede alla mamma: “Mamma, lo sai cos’è il crocefisso?”, “Certo che lo so”, “Lo sai che Giovanni ce l’ha? Ha il crocefisso appeso in sala. Perché noi non lo abbiamo?”, e la mamma lo tranquillizza, gli dice che sa cos’è il crocefisso, e gli spiega che però loro sono una famiglia laica, che hanno determinati valori ma che non sono cristiani, e che quindi non tengono un crocefisso appeso in casa.
Poi, dopo una settimana, Giovanni è invitato da Romano a fare merenda a casa. A un certo punto Giovanni gli dice: “In casa tua non c’è il crocefisso, perché?”. E Romano, che si ricorda della chiacchierata con la mamma, gli spiega che la sua famiglia è laica, che hanno dei valori ma non credono in Gesù. Giovanni, anche lui colpito dalla novità, torna a casa e racconta tutto alla mamma, ne parlano insieme.
Senza isterismi, senza scene apocalittiche, i due bambini, da amici, si scoprono l’un l’altro. Questo è un racconto tipo di una situazione che chissà quante volte è già successa tra i ragazzini italiani. I due crescono insieme, non solo si tollerano, ma sono proprio amici, e le famiglie cominciano a conoscersi, pur nella loro differenza.
Poi bisogna andare a scuola. E in aula c’è il crocefisso. Romano torna a casa e dice: “Mamma, a scuola c’è il crocefisso come a casa di Giovanni: quindi hanno ragione loro?”. Qui, per una società plurale, si pone un problema. Ma questo problema si risolve levando il crocefisso dalla scuola?
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Riprendiamo la storia da dove l’avevamo lasciata, e cambiamo il finale: questa volta è Giovanni che va a scuola e vede le mura senza crocefisso. Torna a casa e dice: “Mamma, sai che a scuola non c’è il crocefisso? Quindi ha ragione Romano?”.
La questione vista prima, perciò, se si leva il crocefisso, non è affatto risolta: rispetto alla situazione precedente sarà semplicemente Giovanni, e non Romano, ad avvertire un problema. Anche la parete bianca è espressione di un certo modo di vedere la realtà.
I simboli sono importanti, permettono di identificare fatti e tradizioni secolari. Siamo sicuri che non ne vogliamo avere nel luogo che si occupa dell’educazione dei nostri figli, proprio nel posto in cui le cose prendono un senso?
Non è vero che la parete bianca è la soluzione migliore. Piuttosto, sarebbe bene cominciare a immaginare nuove soluzioni al problema, perché l’idea della parete bianca non è neutrale, è molto vecchia, e non risolverebbe nulla. Piuttosto, chi ha a cuore questa questione, e tra costoro i laici, dovrebbero cominciare a interrogarsi anche su quali simboli vorrebbero vedere nelle scuole, e non solo su quali non vorrebbero.