Un’eredità spirituale e pastorale da vivere
L’omelia dell’Arcivescovo di Milano, il cardinale Dionigi Tettamanzi, alla messa per il quinto anniversario della morte di don Luigi Giussani. Duomo di Milano, 22 febbraio 2010
Carissimi,
con questa celebrazione eucaristica vogliamo fare memoria del V anniversario della morte di don Giussani e del XXVIII anniversario del riconoscimento della Fraternità di Comunione e Liberazione.
Il nostro è un ricordo, un riandare con il cuore alla figura di don Giussani come uomo, cristiano, sacerdote, insegnante, educatore, maestro di vita cristiana nella Chiesa e nella società, amico e padre.
Un riandare con il cuore che si fa, anzitutto, preghiera: preghiera di rendimento di grazie al Signore per i doni che, attraverso la vita e l’opera di don Giussani, hanno arricchito e continuano ad arricchire la Chiesa e la società; preghiera di intercessione presso Dio per essere tuttora seguiti dalla sua paternità nel nostro cammino personale e comunitario. Un riandare con il cuore che si fa responsabilità e impegno: tocca a noi – e non solo – continuare nel tempo la fioritura e la maturazione del carisma ecclesiale di don Giussani, sia custodendo quanto egli ha detto, scritto e fatto, sia e soprattutto lasciandoci ispirare e stimolare – e in qualche modo rimodulare in rapporto alle nuove situazioni della Chiesa e della società – dalla viva eredità spirituale, pastorale, educativa e umana ch’egli ci ha lasciato.
Giustificati gratuitamente per grazia
Il nostro ricordo cade oggi all’inizio del tempo liturgico della Quaresima. È una coincidenza che sento provvidenziale perché ci rimanda al nucleo centrale e originale dell’avvenimento cristiano, un nucleo che sintetizza l’intero mistero di Cristo – il Verbo di Dio che si fa carne – e che insieme lo fa esplodere come evento di salvezza, ossia di liberazione dal male del peccato, per ciascuno di noi e per tutta l’umanità.
La Quaresima, cammino della Chiesa verso la Pasqua, celebra e vive questo paradossale incontro tra la miseria umana e la misericordia di Dio in Cristo: un incontro che inchioda l’uomo nella sua fragilità morale senza alcuna possibilità di autoassoluzione ma lo sottrae all’inevitabile esito della disperazione, perché l’incontro si risolve nella liberissima e assoluta gratuità di Dio che offre all’uomo peccatore il suo amore misericordioso, un amore che libera, guarisce e salva.
Nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno il Papa Benedetto XVI insiste con grande vigore su questo “incontro” parlando della “nuova giustizia”, quella che Dio ha manifestato per mezzo della fede in Gesù Cristo. Il Papa riprende e ripropone le parole dell’apostolo Paolo: «Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù» (Romani 3,23-24). E commenta: «Quale è dunque la giustizia di Cristo? È anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che “l’espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé “la maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la "benedizione" che spetta a Dio (cfr. Gal 3,13-14)… Convertirsi a Cristo, credere al vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza – indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono e della sua amicizia». E conclude: «Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia».
Carissimi, non perdiamolo mai questo palpito liberante della nostra fede! Ciascuno di noi dica, con speranza certa e gioia traboccante: dove è abbondato il nostro peccato ha sovrabbondato la grazia del Signore! Sì, perché per noi la misericordia non è un semplice e vago sentimento, una disposizione morale, ma è la carne viva di Cristo, carne umana e crocifissa! Anche o soprattutto in questo possiamo dirci “figli di don Giussani”: qui, infatti, sta un punto forte, qualificante della sua spiritualità e della sua azione educativa. Ci basti la testimonianza che egli ha dato in Piazza San Pietro il 30 maggio 1998 in occasione dell’incontro di papa Giovanni Paolo II con i movimenti ecclesiali e le nuove comunità: «Il Mistero come misericordia resta l’ultima parola anche su tutte le brutte possibilità della storia. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo».
Et Verbum caro factum est
Cristo, l’uomo, il loro cuore, il loro ricercarsi reciproco e ritrovarsi uniti in un abbraccio personale. Siamo illuminati al riguardo dalla prima lettura biblica, che così si apre: «Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”» (Genesi 2,18). Il testo della Genesi ci presenta Adamo, prigioniero dapprima della sua insopportabile solitudine, e liberato poi dall’intervento di Dio con il dono di Eva: «E la condusse all’uomo» (v.22), e dunque nella gioia di una comunione del tutto gratuita e sorprendente. Ad esserne stupito è Adamo stesso che esclama: «Questa volta è osso delle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall’uomo è stata tolta» (v.23) e ammira il mistero della comunione divina che entra nella storia umana: «E i due saranno un’unica carne» (v.24).
Questa pagina rimanda agli inizi del tempo, ma nella sua profezia abbraccia l’intera storia della salvezza. Annuncia infatti il nuovo Adamo e la nuova Eva: Cristo, lo Sposo che ama e si dona alla sua Chiesa facendosi tutt’uno con essa, e la Chiesa, la sposa che accoglie il dono di Cristo – Cristo stesso – e lo ricambia nell’amore docile e obbediente. Questo può dirsi l’evento centrale, in un certo senso unico e insuperabile della salvezza: un evento destinato a raggiungere ogni uomo, ogni figlio di Adamo ed Eva. Solo per pura grazia di Dio l’uomo ottiene salvezza e redenzione.
E solo così l’uomo trova la sua piena verità, la sua autentica identità, la sua nuova dignità e grandezza: nel rapporto con Cristo o meglio nel rapporto di Cristo con l’uomo, ogni singolo uomo. Si tratta di un rapporto personale estremamente concreto. Qui il tema della carne si fa davvero formidabile, perché dice che tutta quanta la realtà umana – pensiero, sentimento, affetto, libertà, sguardo, corpo – viene coinvolta. Da parte di Dio, del Verbo che si fa carne e viene ad abitare in mezzo a noi (cfr. Giovanni 1,14), e da parte dell’uomo, che è incontrato da Cristo e vincolato a lui nella totalità unitaria del suo essere. L’evento cristiano trova così tra le sue fondamentali strutture il mistero dell’Incarnazione e quello della risurrezione della carne.
Proprio su questa interpretazione del nucleo centrale dell’esperienza cristiana si è sempre radicata e sviluppata in modo singolarmente lucido e forte la spiritualità che don Giussani ha vissuto e della quale ha contagiato i suoi discepoli e amici. Il cristianesimo non è semplice teoria, non generico moralismo, non tentativo di autorealizzazione umana, ma è l’incontro personale-personalissimo di Cristo con ciascuno di noi: incontro che diviene “presenza” , “sguardo”, “dialogo”, “comunione” sino a diventare “unità”: “una carne sola”, nel senso più alto possibile. Riascoltiamo in una incisiva espressione della prima enciclica di papa Benedetto XVI quello che può definirsi il filo rosso della vita e della passione educativa di don Giussani e di “Comunione e Liberazione”: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1).
Noi abbiamo il pensiero di Cristo
Questo è l’incontro che cambia la vita: anzitutto nel modo di guardare, osservare, valutare, interpretare e giudicare la realtà, ogni realtà della storia personale, sociale e cosmica. Un modo che rimanda all’intelligenza o ragione umana “inscindibilmente alleata” alla fede cristiana. Sì, una ragione che ha l’audacia di giungere alle soglie del mistero sino a intuirlo come possibilità concreta e una fede che, di fronte allo svelamento gratuito del mistero, esige la ragione, la onora, la conferma nelle sue capacità, la purifica, la esalta e la sospinge non solo sino alle soglie ma dentro il mistero stesso.
Questo significa avere per dono – dice l’apostolo Paolo – «il pensiero di Cristo» (cfr. 1 Cor 2,16): è la sapienza, la sapienza “nuova”, “cristiana”, di cui la seconda lettura tratta dei Proverbi (1,20-33) offre alcuni interessanti spunti.
Lo sguardo cristiano sulla realtà è una grazia, un dono dello Spirito, un giudizio che si viene elaborando nell’essere – diceva Pio XII ai giovani – solus cum Deo, e dunque nella dimora impenetrabile dell’intimo di ciascuno di noi, nella coscienza personale: «Ecco, io effonderò il mio spirito su di voi e vi manifesterò le mie parole» (v.23). Il testo dei Proverbi ancor più ci ricorda che il giudizio cristiano deve ispirare e forgiare la coscienza sociale, propria delle comunità cristiane nei diversi ambienti di vita: «La sapienza grida per le strade, nelle piazze fa udire la voce; nei clamori della città essa chiama, pronuncia i suoi detti alle porte della città» (vv.20-21).
Il giudizio cristiano diventa una sfida e insieme un grande bene nell’attuale contesto di esasperato pluralismo culturale e ancor più nelle non poche derive che registra il pensiero colto e disorienta l’opinione cosiddetta comune. Il libro dei Proverbi non teme di parlare con linguaggio popolare ed efficace di «smarrimento degli inesperti», di «spensieratezza degli sciocchi» (v.32), di «spavalderie» compiaciute, persino di «odio» verso il sapere (v.22).
Il giudizio cristiano sulla realtà, la formazione della coscienza secondo la fede cristiana si pone come fondamento e forza di quell’impegno educativo che rappresenta senza alcun dubbio, come spesso ripete il Santo Padre, una delle attuali priorità pastorali della Chiesa. I Vescovi italiani intendono raccogliere questa sfida e la presentano come decisiva per il prossimo decennio pastorale.
Penso che l’insegnamento, la vita, le opere di don Giussani abbiano al riguardo ancora tanto da offrire alle nostre comunità.
Beati i poveri in spirito…
L’incontro con Cristo cambia la vita: nei giudizi e nelle opere. Il discernimento cristiano sulla realtà sfocia per suo interiore dinamismo nell’agire, diviene appello ineludibile al dono più grande che Dio ci ha fatto, quello della libertà, chiamata responsabilmente a fruttificare in atteggiamenti e comportamenti, in stili di vita e gesti concreti, in iniziative e opere le più diverse ma sempre coerenti con lo stile operativo di Cristo.
Come scrive il Santo Padre nell’enciclica Spe salvi: «Il messaggio cristiano non è solo “informativo”, ma “performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata. Chi ha speranza vive diversamente; gli è stata donata una vita nuova» (Spe salvi, 2).
Trovo queste parole meravigliosamente accostabili al brano evangelico delle beatitudini che ancora una volta è stato proclamato, dunque donato e affidato a tutti noi (cfr. Matteo 5,1-12) Il Cristo che ci incontra è il Cristo delle beatitudini, è il Beato per antonomasia. Egli, cambiandoci la vita, per grazia ci assimila sempre più a sé, con l’effusione dello Spirito ci rende sempre più partecipi della sua stessa beatitudine e ci manda nel mondo – nel significato più vasto del termine e in quello domestico dei nostri ambienti di vita (familiare, sociale, economica, professionale, politica) – come testimoni umili e coraggiosi delle beatitudini.
Coscienza e testimonianza, un binomio inscindibile! Sì, l’incontro con Cristo genera per grazia una nuova cultura e una nuova capacità di affrontare la storia e di forgiarla secondo il disegno di Dio e, proprio per questo, secondo le esigenze più vere e profonde del cuore di ogni uomo. E questo che cos’è se non la Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore che vivono del suo pensiero e della sua vita?
Carissimi, se ho desiderato ripetere alcuni convincimenti che per voi, di Comunione e Liberazione, sono più che abituali, è perché proprio in essi trovo le ragioni umane e cristiane per il realizzarsi sempre più maturo di quella comunione fraterna e di quello slancio missionario universali che sono tra i doni più preziosi e gli impegni più forti che la Chiesa quotidianamente riceve da Cristo, suo Sposo e Salvatore.
Vorrei paragonare questo nostro Duomo al Cenacolo di Gerusalemme, del quale Luca negli Atti degli Apostoli scrive: «Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui» (Atti 1,14). Con un abbraccio esteso a tutti i fedeli della Chiesa ambrosiana, vi esorto: insieme preghiamo perseveranti e concordi con Maria e insieme sentiamoci corresponsabili del cammino missionario e di santità della nostra Chiesa.
Dionigi Tettamanzi, Cardinale e Arcivescovo di Milano