Veniva ucciso 27 anni fa dalla mafia Giuseppe Fava, giornalista, direttore responsabile del Giornale del Sud e fondatore de I Siciliani, secondo giornale antimafia in Sicilia. Laureatosi in giurisprudenza all’Università di Catania venne assunto nel 1956 dall’Espresso sera, di cui divenne il caporedattore fino al 1980, anno in cui gli venne preferito un altro giornalista perché considerato “più governabile” rispetto a lui. In questi anni iniziò a occuparsi di teatro, cinema e letteratura e poi a Roma anche di radio. Intanto scriveva la sceneggiatura di “Palermo or Wolfsburg” che vinse l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1980.
In quella primavera tornò in Sicilia per dirigere il “Giornale del Sud”: con Giuseppe Fava il quotidiano subì una trasformazione in senso spregiudicato, grazie anche alla collaborazione di giovani giornalisti che diedero filo da torcere alla Mafia, denunciando i traffici illegali di Cosa Nostra e le collaborazioni con la politica, soprattutto attraverso il clan dei Santapaola. Tra le inchieste che portò avanti fece scalpore la ferrea battaglia contro l’installazione di una base missilistica a Comiso e la sua presa di posizione a favore dell’arresto del boss Alfio Ferlito.
Ma la battaglia per la giustizia portata avanti da Fava non si fermò qui: fondò una cooperativa, e con
molti sforzi riuscì a pubblicare nel novembre del 1982 un nuovo mensile “I siciliani” le cui inchieste divennero subito un caso politico.
Quello che in particolare segnò il destino di Fava fu il suo articolo “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”, ovvero un’inchiesta sulle attività illecite di quattro imprenditori catanesi, Carmelo Costanzo, Gaetano Graci, Mario Rendo e Francesco Finocchiaro, e di altri personaggi tra cui Michele Sindona che Fava collegava con il clan del boss Nitto Santapaola.
Questa inchiesta rappresentò un punto di non ritorno per Fava, sempre più isolato anche dagli stessi intellettuali.
Alle ore 22 del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava si trovava in via dello Stadio e stava andando a prendere la nipote che recitava in Pensaci, Giacomino! al Teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu freddato da cinque proiettili calibro 7,65 alla nuca. Inizialmente, l’omicidio venne etichettato come delitto passionale, sia dalla stampa che dalla polizia. Si disse che la pistola utilizzata non era tra quelle solitamente impiegate in delitti a stampo mafioso. Si iniziò anche a frugare tra le carte de I Siciliani, in cerca di prove: un’altra ipotesi era il movente economico, per le difficoltà in cui versava la rivista.
Tesi avvalorata anche dalle istituzioni che non vollero organizzare una cerimonia pubblica. Le prime dichiarazioni ufficiali furono clamorose. L’onorevole Nino Drago chiese una chiusura rapida delle indagini perché «altrimenti i cavalieri potrebbero decidere di trasferire le loro fabbriche al Nord». Il sindaco ribadì che la mafia a Catania non esisteva. A ciò ribatté l’alto commissario Emanuele De Francesco, che confermò che «la mafia è arrivata a Catania, ne sono certo», e il questore Agostino Conigliaro, sostenitore della pista del delitto di mafia.
Il funerale si tenne nella piccola chiesa di Santa Maria della Guardia in Ognina e poche persone diedero l’ultimo saluto al giornalista.
Il processo per l’omicidio di Fava è stato concluso solo nel 1998, a Catania. Definito "Orsa Maggiore 3" ha visto la condanna all’ergastolo il boss mafioso Nitto Santapaola, ritenuto il mandante, Marcello D’Agata e Francesco Giammuso come organizzatori, e Aldo Ercolano come esecutore assieme al reo confesso Maurizio Avola. Nel 2001 le condanne all’ergastolo sono state confermate dalla Corte d’appello di Catania per Nitto Santapaola e Aldo Ercolano, accusati di essere stati i mandanti dell’omicidio. Assolti Marcello D’Agata e Franco Giammuso che in primo grado erano stati condannati all’ergastolo come esecutori dell’omicidio. L’ultimo processo si è concluso nel 2003 con la sentenza della Corte di Cassazione che ha condannato Santapaola ed Ercolano all’ergastolo e Avola a sette anni patteggiati.