AF/ Massobrio: ecco come si esce insieme dalla crisi
PAOLO MASSOBRIO torna a parlarci dell'Artigiano in Fiera a Milano, tra Pero e Rho, dove per sette giorni ha lavorato coi ragazzi della scuola di formazione InPresa di Carate Brianza

Le luci del mattino sopra Rho, viste dalla terrazza dell’Holliday Inn, hotel ambientato nell’ex cotonificio hanno un che di affascinante. Sette notti a Rho, e sette mattine all’alba, a vedere il bar che tira su le saracinesche, la casa del formaggio e quella del raviolo. C’è un bel centro storico attorno alla chiesa, che in diagonale raggiunge il maestoso santuario. Ogni paese è una sorpresa e dopo sette giorni anche Rho diventa un po’ casa tua. Perché sono stato qui ? Perché tra Pero e Rho c’è stato l’Artigiano in Fiera: anche qui una comunità di gente che s’è messa in mostra, come quelle saracinesche all’alba. Alla mattina, nel quartiere generale della Fiera, Inti insieme a Lele e a Pier Maurizio dettano gli avvisi per tutti gli espositori, centinaia e centinaia, disseminati in 10 padiglioni. E poi pubblicano un pensiero sul significato d’essere lì. Cosa c’entriamo noi con la crisi ?
I tre ogni mattina ci pensano, limano le parole, vanno a ripescare un pensiero di Angelo Scola, ma soprattutto giudicano avendo in mente ciò che hanno visto. E quel mattino mi parlano dei giovani che hanno portato in fiera le loro innovazioni. Su un foglio bianco, che un tempo sarebbe stato un “ciclostilato”, mandano un messaggio che dà il senso di una comunità, ma dice, anche, che tutto ciò che è lì riguarda quella dignità che passa attraverso il lavoro, e quindi la voglia di continuare ad andare avanti, come le saracinesche dei bar di Rho, che accolgono la gente, con le loro ansie e paure, ma anche con quella certezza che deriva da una certa educazione. Una fiera è un’esperienza, è un popolo, e neanche tanto piccolo. Una mia amica francese è andata negli stand del suo paese ed ha ritrovato i descrittori di un piccolo villaggio della sua terra: la lavanda, il foie gras, le crépes. E l’allegria. Sabato, col volantino, hanno consegnato anche un libretto con i testi della mostra del 150 anni dell’Unità d’Italia, allestita all’ingresso della fiera, pietra di paragone con una storia neanche poi così lontana.
Io ero lì per sette giorni, coi miei amici di Papillon, con otto cuochi della GuidaCriticaGolosa per provare a lavorare coi ragazzi della scuola di formazione InPresa di Carate Brianza. Sette giorni che inconsapevolmente sono diventati un laboratorio, e domani sul mio giornale Papillon, questi fatti, apriranno un dibattito sulla ristorazione che verrà. C’è la crisi, ma intanto ragazzi servite bene a tavola, create isole di felicità, portate un piatto che è come un messaggio! Quando mi hanno salutato, Andrea e Marco, che curavano il servizio, hanno sorriso, con uno sguardo di stima, di riconoscimento. E quello è stato il più bel regalo di tutti questi giorni.
Ci abbiamo messo la faccia, siamo stati anche noi sulla porta come i vecchi osti, coi pezzi di carne da mostrare o i menu: “Entrate che adesso siete stanchi: c’è il cotechino in sfoglia con la verza”. E la gente entrava, stava lì, su quella nave che è la fiera, che è stata per 10 giorni un luogo dove ridere e piangere insieme, segnando, con Milotz, le cose che sono belle. Poi ognuno è tornato nelle proprie case, ognuno nei suoi paesi. E tutti hanno visto che mettendosi insieme si può salpare. Qualcuno magari ha conservato quei volantini bianchi, e rimettendo a posto l’auto l’ha ritrovato e forse avrà riletto quella frase di Angelo Scola: “Dalla crisi si esce solo insieme, ristabilendo la fiducia vicendevole. E questo perché un approccio individualistico non rende ragione dell’esperienza umana nella sua totalità. Ogni uomo, infatti, è sempre un “io-in-relazione”. Per scoprirlo basta osservarci in azione: ognuno di noi, fin dalla nascita, ha bisogno del riconoscimento degli altri. Quando siamo trattati umanamente, ci sentiamo pieni di gratitudine e il presente ci appare carico di promessa per il futuro. Con questo sguardo fiducioso diventiamo capaci di assumere compiti e di fare, se necessario, sacrifici”. M’è sembrato di vedere questi 10 giorni, m’è sembrato che parlasse a quei ragazzi dell’ InPresa.
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