«La nostra all’inizio era solo una cena, adesso, dopo dieci anni, è una storia». Nelle parole di un emozionato Graziano Debellini, presidente dell’Associazione Santa Lucia, c’è tutto il senso di un evento che per la decima volta si conferma non solo il luogo di incontro natalizio dei padovani e dei veneti di buona volontà, ma anche l’occasione per fare il punto su un lavoro che dura tutto l’anno.
È la Cena di Santa Lucia. Di fronte a Debellini nella sala principale del centro congressi Papa Luciani di Padova ci sono 600 persone; più di 400 sono collegate in diretta nell’adiacente sala rossa con la conduzione della giornalista Francesca Trevisi. I contributi versati superano quota centomila euro e saranno destinati a sette interventi: quattro della Fondazione Avsi in Kenya, Egitto, Haiti e Congo, più altri due in Etiopia e alle Cucine economiche popolari della Diocesi di Padova
Autorità civili, religiose, accademiche, esponenti del mondo dell’economia, della finanza e delle professioni degustano un menu elaborato da sette chef dei migliori ristoranti cittadini, per un evento dedicato al fattore umano come punto di origine dello sviluppo. Ma dal palco non giungono considerazioni general-generiche dettate da nobili intenti natalizi. Si racconta il lavoro di un anno. Intorno alla Cena infatti dal 2002 ad oggi si è catalizzato un comitato di 50 personalità della vita civile e sociale che non prestano solo il nome, ma ci mettono la faccia, diventando i primi promotori dell’Associazione. È un network di incontri, rapporti e solidarietà che ha attecchito bene in terra padovana.
E così suor Laura Girotto, vulcanica animatrice della missione salesiana di Adwa in Etiopia, può raccontare dell’intensa collaborazione con l’Associazione Santa Lucia e con l’Azienda ospedaliera di Padova, da cui nasce un viavai di medici tra Veneto ed Etiopia, perché «non è più possibile vedere morire tanti bambini per malattie banali». Lei per assisterli si trasforma in ostetrica, infermiera, anche in chirurgo, pur non avendo nessuna laurea, pur di salvare vite umane. I poveri non devono più aspettare. Così suor Laura quest’anno ha deciso di fare il grande salto. «Non potevo dire a questi bambini “scusate l’ospedale non può partire perché in Europa c’è una grossa crisi finanziaria”». E così ha dato il via ai lavori. Sullo schermo scorrono le slide delle fondamenta del nuovo ospedale. Il tutto realizzato sulla base della fiducia nella Provvidenza. «Ma la Provvidenza, non dimenticatelo, ha nomi, cognomi e codici Iban».
Non meno drammatica la situazione denunciata da suor Lia Gianesello, l’elisabettina padovana che coordina le Cucine economiche popolari della Diocesi: mille persone al giorno per un pasto caldo, una doccia, una visita medica o anche semplicemente per scambiare due parole. Con una percentuale di italiani crescente. «Sono sempre di più quelli che non riescono neanche a dare un contributo minimo per i pasti», racconta la religiosa. «Un tempo un’offerta di due euro era normale, oggi fanno quasi tutti fatica a dare 50 centesimi. È la fame che sta tornando nelle nostre città», e ringrazia infine il Banco alimentare per l’apporto in generi alimentari assicurato con continuità.
Anche padre Teklè Mekonnen e monsignor Silvano Tomasi, rispettivamente rettore dell’Università cattolica di Addis Abeba e Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Onu a Ginevra, raccontano storie in cui il fattore umano si rivela la chiave dello sviluppo. In questo caso la carta vincente è l’educazione, attraverso la nuova università che sta muovendo i primi passi con il convinto sostegno del governo etiope. Rappresenterà una grande opportunità per tutto il Paese, formando la nuova classe dirigente di Addis Abeba, città strategica, la “Bruxelles dell’Africa” la definisce monsignore.
«I progetti nascono dagli incontri, non viceversa», è l’epigrammatica sintesi di Debellini. Ma anche Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione Avsi, conferma. Raccontando ad esempio la storia di Deogratias, il maestro che in Kenya sta educando una generazione di ragazzi che non ha visto nulla al di fuori del gigantesco campo profughi di Daabab. Ma è questo il segreto della storia stessa di Lucia, la santa a cui è intitolata la serata. Una vicenda che illumina le ragioni profonde di questa singolare cena. Parola del presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini, da dieci anni ospite fisso della manifestazione. «Martire cristiana del III secolo, ricca di famiglia, donò tutto ai poveri dopo aver incontrato Cristo», racconta. Una storia esemplare. Ma Lucia, così come padre Kolbe o madre Teresa, non sono solo esempi di bontà, ma di una cultura nuova che ha molto da dire anche sull’attuale periodo di crisi. «È ormai decaduta l’idea che dall’egoismo del singolo nasca il bene della società, la crisi ne è la prova più evidente. L’uomo è gratuità, è condivisione, è rapporto. Quello che impariamo questa sera può diventare un modo diverso per trattare la famiglia e l’azienda, creando i presupposti per un’economia e una socialità nuove, non solo un’opera di bene per lavarci la coscienza una volta all’anno».
L’appuntamento non è all’anno prossimo, garantiscono i 50 componenti del comitato promotore sul palco per i saluti finali. Da domani si ricomincia a lavorare insieme. E già questa sera santa Lucia ha portato un nuovo dono: l’alleanza tra la Cena e Run for Children, una Onlus che ha già fatto entrare per due volte Padova nei Guinness World Records per aiutare l’Istituto di ricerca pediatrica “Città della Speranza”. Nel prossimo giugno i record da battere saranno due: su pista e in vasca. E i proventi saranno devoluti in parte agli obiettivi dell’Associazione Santa Lucia.
(Eugenio Andreatta)