Con una sentenza che farà certamente discutere nei prossimi giorni, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha stabilito che nei procedimenti per violenza sessuale di gruppo il giudice può ricorrere all’applicazione di misure cautelari alternative, senza dover per forza disporre o mantenere la custodia in carcere dell’indagato. Una prima reazione è arrivata da Alessandra Mussolini, che ha definito «aberrante applicare misure alternative al carcere per lo stupro di gruppo. La Cassazione ha lanciato una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e a depotenziare tale grave reato. Una donna che vede negato il carcere per i suoi carnefici subisce una seconda violenza». La deputata Pdl ha anche aggiunto che «nessuna misura alternativa può essere accettata da una società che deve tendere a rafforzare i diritti e la tutela delle donne e non a rendere più semplice la vita di chi commette tali orribili reati su di esse». Dal 2009, cioè da quando è stata approvata dal Parlamento la legge di contrasto alla violenza sessuale, il giudice non poteva applicare misure che non fossero il carcere per tutti i procedimenti riguardanti atti sessuali con minorenni e delitti di violenza sessuale. La Corte Costituzionale ha invece fatto sapere che questa misura è in contrasto con diversi articoli della Costituzione, in particolare il 3, il 13 e il 27, che rispettivamente riguardano l’uguaglianza di fronte alla legge, la libertà personale e la funzione della pena. Proprio per questo motivo, infatti, adesso sarà possibile attuare misure alternative alla galera. Secondo la deputata Pdl Mara Carfagna si tratta di «una sentenza impossibile da condividere, contro le donne, che manda un messaggio sbagliato. Le aggravanti per i reati di violenza sessuale – spiega ancora l’ex ministro per le Pari Opportunità – furono introdotte proprio per evitare lo scempio della condanna senza un giorno di carcere per chi commette un reato grave come questo». Infine, secondo Donata Lenzi, della presidenza del Gruppo Pd della Camera, questa sentenza «sarà un’ulteriore spinta al silenzio per le donne che subiscono violenza. Proprio nel periodo che intercorre fra la denuncia e il processo le donne subiscono maggiori pressioni e minacce e spesso sono costrette a nascondersi.
Proprio per questi motivi, ci sembra che per un reato così grave l’interpretazione stabilita dalla Corte sia inopportuna e tenga in scarsa considerazione la realtà delle donne vittime di violenza».