“Sulla vicenda della trattativa c’è una ragione di Stato che impedisce l’accertamento della verità sulla base delle ragioni del diritto penale? Se è così, dalla politica devono venire parole chiare: se si ritiene che debbano essere sottratte alla verifica della magistratura temi o territori coperti dalla ragione di Stato, lo si dica”. Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, protagonista dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, concede un’intervista a La Repubblica in cui spiega che se emergesse davvero una ragione di Stato dietro al dialogo segreto con la mafia, “la magistratura non potrebbe che fare un passo indietro. In caso contrario, la legge ci impone di andare avanti per l’accertamento della verità”. Quando il giornalista gli chiede se effettivamente c’è stata o meno questa ragione di Stato nella trattativa, il magistrato ammette: “È quello che vorrei sapere. Credo che sia necessario uscire dall’equivoco, alimentato dalle parole dette e non dette di autorevoli commentatori, a proposito di una presunta ragion di Stato che dovrebbe fermare l’azione della magistratura”. Il pm spiega poi che “il processo che inizierà è un’occasione, che non esaurisce lo sforzo di accertamento della verità. Occorrono altri momenti, e soprattutto la coesione istituzionale auspicata dal presidente della Repubblica. Non una chiusura corporativa di alcuni poteri dello Stato. E tanto meno una sorta di complicità istituzionale. Dovrebbe essere una coesione verso traguardi più alti: la verità sulla stagione 92-94, che pesa come un macigno sulla nostra democrazia”. Secondo Ingroia “la coesione istituzionale dovrebbe esplicarsi in fatti concreti. Innanzitutto, il dovuto rispetto nei confronti della magistratura. E invece in questi giorni siamo stati insultati, sui giornali abbiamo letto cose infami. Ma noi abbiamo la coscienza a posto, abbiamo sempre rispettato le regole. Ci siamo comportati come Loris D’Ambrosio avrebbe fatto al nostro posto. E lo dico per la conoscenza e la stima dell’uomo delle istituzioni D’Ambrosio. Anche lui avrebbe fatto ogni sforzo per la verità”. Dal canto suo, la politica dovrebbe invece “essere soprattutto meno impegnata a cacciare indietro l’azione della magistratura. Ad esempio, sottraendole strumenti fondamentali, come le intercettazioni”.
Ingroia conclude parlando del suo ormai certo trasferimento in Guatemala, di cui Ilsussidario.net ha recentemente parlato insieme a Cesare Mirabelli, professore di diritto Costituzionale presso la Pontificia Università Lateranense di Roma, già vicepresidente del Csm. “Dispiace sempre lasciare – ha detto Ingroia nell’intervista per La Repubblica -. Ma se non cambiano le condizioni, passi avanti non se ne possono fare. Il magistrato si è ritrovato in una stanza buia, devono essere gli altri attori politico-istituzionali ad accendere la luce. Se dovesse accadere, potrei anche restare”.