UNIONI GAY/ Ecco perché il matrimonio tra uomo e donna non è un’invenzione culturale

- Salvatore Abbruzzese

A Parigi, com’è noto, centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per chiedere al governo di non riconoscere alle coppie gay il diritto all’adozione. Il commento di SALVATORE ABBRUZZESE

antigay_franciaR400 La Corte di Strasburgo

A Parigi, domenica 13 gennaio, diverse centinaia di migliaia di persone hanno sfilato per chiedere al governo di non riconoscere alle coppie gay il diritto all’adozione. Alla vigilia dell’evento, Danièle Hervieu-Léger – una delle voci più brillanti della sociologia delle religioni contemporanea – in un articolo su Le Monde ha parlato di “occasione mancata per la Chiesa”, rimproverando a quest’ultima la discesa in campo accanto al fronte proibizionista. L’argomentazione è quella già nota: il modello della famiglia composta da un uomo e una donna è una costruzione culturale prodotta dalla Chiesa stessa e ripresa da uno Stato laico che ha sostituito al diritto divino quello dell’ordine naturale. Una tale costruzione sarebbe in contraddizione con almeno tre fenomeni emergenti: l’estensione dell’ambito dei diritti individuali, il venir meno della plausibilità dell’ordine naturale, il passaggio dalla famiglia coniugale a quella relazionale. La conclusione è sferzante: l’evidenza del matrimonio omosessuale (e del conseguente diritto all’adozione) finirà per imporsi e non implicherà affatto la fine di una civilizzazione: nell’attaccarla la Chiesa ha ingaggiato una battaglia che ha già perso.

Dietro una tale presa di posizione ci sono due assunti molto diffusi nella sociologia contemporanea e tra loro connessi. In primo luogo è in opera il paradigma relativista in virtù del quale, tanto nell’ordine della natura quanto in quello della cultura, non esistono principi assoluti né valori universali. I valori sono sempre di parte, provenienti dall’una o l’altra delle istituzioni culturali e, poiché riflettono specifici assetti di potere, lo spacciarli per universali da parte di queste stesse istituzioni – ed è il caso della Chiesa – è segno di colpevole malafede. Il secondo assunto sostiene che tutti i principi e i valori non solo vengono acquisiti attraverso la socializzazione, ma sono da questa stessa mantenuti in vita. Il soggetto, questa la tesi estrema, non sottoscrive consapevolmente e volontariamente dei valori, ma è strutturato dai valori che trova: non ha delle ragioni per sceglierli, ma vi è invece spinto dai diversi condizionamenti culturali ai quali soggiace. 

Una tale impostazione fa della realtà concreta una costruzione sociale alla quale i soggetti aderirebbero per condizionamento culturale, rinforzato da una sudditanza istituzionale. Questi non avrebbero nessuna ragione nell’aderire ai singoli valori, ma lo farebbero per conformarsi ad un universo proposto da un’istituzione e dato per scontato dall’opinione pubblica. 

In realtà non esiste nessun fenomeno sociale durevole che si sorregga sulla base di semplici condizionamenti culturali. Anche quando prendiamo per vero qualunque principio per il solo fatto che è sottoscritto da tutti, una volta posti dinanzi a scelte che lo chiamano in causa, non tardiamo a cercarne gli elementi che ne attestano la veridicità prima di accordargli definitivamente il nostro credito. Risiede qui – come è stato spiegato da Raymond Boudon – un principio costitutivo della logica del soggetto. 

Se così è, il fatto che la Chiesa, come sostiene Danièle Hervieu-Léger, difenda un modello di famiglia che essa stessa ha prodotto, non toglie nulla al fatto che, per secoli, questo modello sia stato trovato ragionevole ed efficace e tutti lo abbiano sottoscritto. Ci sono ancora oggi delle ragioni per ritenere che il modello coniugale fondato su un uomo e una donna sia quello più adeguato per definire lo scenario dentro il quale una vita possa non solo essere generata, ma anche accolta. Rinviare queste ragioni al solo condizionamento esercitato da un potere ecclesiale (peraltro minoritario da oltre due secoli), o da quello culturale, porta a considerare il soggetto come una specie di sonnambulo sociale, privo di qualsiasi capacità di analisi e di riflessione. 

Riprendendo gli argomenti già illustrati da Piero Barcellona su queste pagine, di fatto, ogni cultura affronta il mondo reale producendo delle chiavi interpretative a partire dalle quali è possibile abitarlo ed edificarvi un processo di civilizzazione. Ogni soggetto, per quanto acquisisca i contenuti di quest’ultimo attraverso il processo di socializzazione, non manca di sottoscrivere consapevolmente norme e principi ogni volta che si trova dinanzi a scelte concrete. Il consenso che la Chiesa riscuote sull’argomento del rifiuto alle adozioni da parte di coppie gay, proprio perché si situa in una società completamente svincolata dal sacro, sarebbe incomprensibile se i suoi argomenti non fossero riconosciuti come validi.

Il fatto che le risorse tecnologiche consentano di bypassare la presenza di un padre e di una madre non dice ancora nulla circa le conseguenze psicologiche su una futura coorte di bambini adottati in coppie senza padre o con una madre biologica che abbia affittato il proprio utero. Più in generale – ed è questa la lezione data, ad esempio, dallo stesso pensiero ecologista – la presenza di una modifica sostanziale dei percorsi psicologici connessi ad un’innovazione tecnologica non significa affatto che tale modifica sia priva di conseguenze o esente da effetti inattesi sull’equilibrio dei singoli. Proprio la rivelazione di una natura come “sistema complesso che coniuga azioni e retroazioni”, alla quale fa riferimento la Hervieu-Léger, rivela l’importanza di un principio di precauzione che dovrebbe costituire un corredo indispensabile di quel principio di responsabilità tante volte reclamato sul piano delle trasformazioni dell’ecosistema, ma lasciato da parte ogni volta che il sistema in equilibrio non è più quello della natura ma diventa quello dell’essere umano. 

 





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