Dare speranza. Gettare il cuore oltre l’ostacolo. Credere anche se non si vede. O semplicemente, continuare ad essere pastore, che cura e rassicura il gregge. A Napoli don Franco Rapullino ha celebrato la messa riaprendo la chiesa di Santa Maria della Neve, dichiarata inagibile dai vigili del fuoco, dopo la caduta di un pezzo di cornicione, e per la presenza di una lesione nella facciata e di rigonfiamenti nel muro perimetrale. Un edificio a rischio, quindi, proprio come la palazzina alla Riviera di Chiaia di Napoli, poco distante dalla chiesa, e venuta giù appena un mese fa. “In un momento in cui tutto crolla – ha spiegato il sacerdote – ciò che non crolla è la nostra fede in Dio. Il quartiere è smarrito e il dovere di un buon pastore è rasserenare il suo gregge che sente il bisogno di tornare alla normalità”. Il buon pastore rimane al suo posto, e continua a curare il gregge, e a difenderlo contro ogni avversità: oggi quelle avversità sono le crepe sui muri, la stabilità delle strutture, le ferita alla facciata, simbolo significativo delle ferite nei cuori di ogni uomo. Si guarda a questa realtà di coraggio,e totale fiducia, e si torna con la mente alle zone colpite dal terremoto, in Abruzzo o in Emilia, dove si è cercato di ricostruire la casa di Dio, tra le tende, nei container, per dare così speranza ai cuori di chi aveva perso tutto. Case di Dio ferite, segnate, ma case comunque costruite sulla roccia, quelle di cui parla il Vangelo di Matteo, che hanno fondamenta solide nella Parola, e nella vita dei loro pastori, e che pur colpite, non crollano, e con la sola presenza fanno da fondamenta anche a tutte le case dell’anima costruite sulla sabbia, quelle che la minima tempesta spazza via, quelle a cui basta poco per finire in mille pezzi, e non trovare più terreno su cui ricostruirsi. In questa dimensione, la vicenda di Napoli è un segnale di speranza molto più grande di quello che possiamo immaginare, che racchiude un seme di rinascita e ricostruzione, di solidità e fiducia, di cura e conforto. Chi ha attraversato le tempeste, sa che nel momento della disperazione è fondamentale trovare punti solidi a cui appoggiarsi, e sui cui cercare sostegno; chi almeno una volta ha avuto il coraggio di vedere “Via col Vento”, sopportando le smorfie di Rossella O’Hara, ricorda certamente la scena finale del film, suggellata dalla battuta “domani è un altro giorno”, in cui la protagonista prende la decisione di tornare a casa, per prendere forza dalla terra di origine, “la terra rossa di Tara”.
Il ritorno alla base, per ricostruire se stessi, la propria dignità, e riconquistare l’amore perduto, e con lui il senso della vita. Anche Napoli parte da una chiesa pericolante per ricostruire una parte di sè; anche qui si parte dalla base, per ritrovare le radici, per non disperdersi, per mantenersi uniti, e conservare le fede. Partire dalle ferite evidenti e doloranti delle strutture, per tornare a credere, nel giorno in cui il Vangelo ci parla di Tommaso, che ha bisogno di mettere le mani nelle ferite di Cristo, per credere nella sua risurrezione. “Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?”, si recita nei salmi: quando le basi crollano, si deve avere il coraggio di scommettere, di fidarsi, di rimboccarsi le maniche e ripartire, o semplicemente di gettare la rete. Il gesto di don Franco Rapullino è quindi un atto di fede e di coraggio, un mattone di speranza, un invito forte a mettersi al lavoro, presto, per non abbandonare la chiesa di Santa Maria della Neve, e renderla più forte e solida. Un gesto che parla alle istituzioni, e a tutti. E che invita a ricominciare a costruire le propria fede, la propria dignità, il senso della vita, su una roccia incrollabile, su quella pietra che oggi sembra così fragile, nascosta tra i bordi delle crepe della vita, coperta dalla polvere del tempo, dell’incuria, dell’indifferenza.
(Maria Elena Rosati)