Il sistema di gestione dei diritti televisivi e cinematografici era portato avanti da Silvio Berlusconi nonostante la sua discesa “in campo” e la sua nomina a presidente del Consiglio. E’ quanto scritto dai giudici della Corte d’Appello di Milano nelle motivazioni della sentenza con la quale hanno confermato la condanna a quattro anni di reclusione e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici per il Cavaliere. Nelle 190 pagine di motivazioni si legge anche che “era assolutamente ovvio che la gestione dei diritti, il principale costo sostenuto dal gruppo, fosse una questione strategica e quindi fosse di interesse della proprietà, di una proprietà che, appunto, rimaneva interessata e coinvolta nelle scelte gestionali, pur abbandonando l’operatività giornaliera”. Dichiarando che “la pena stabilita in prime cure è del tutto proporzionata alla gravità materiale dell’addebito e alla intensità del dolo dimostrato”, i giudici spiegano che “un imprenditore avrebbe dovuto essere così sprovveduto da non avvedersi del fatto e avrebbe potuto notevolmente ridurre il budget di quello che era il maggior costo per le sue aziende e che tutti questi personaggi, che a lui facevano diretto riferimento, non solo gli occultavano da tale fondamentale opportunità, ma che, su questo, lucravano ingenti somme sottraendone sostanzialmente a lui oltre che a Mediaset”. Insomma, “si tratta di una operazione illecita organizzata e portata a termine costituendo società e conti esteri a ciò dedicati, un sistema portato avanti per molti anni. Parallelo alla ordinaria gestione delle società e del gruppo”. Un sistema, si legge ancora, “proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice”.