Una malattia senza nome, sconosciuta e rarissima – se non unica al mondo – si è manifestata per la prima volta 20 anni fa in Luca Alfano, 36enne di Varese, che da due decenni convive con un male che gli impedisce di svolgere una vita che potremmo definire “normale”. Il suo ultimo gesto, ogni sera, è una preghiera formulata mentalmente non per chiedere una guarigione miracolosa, ma semplicemente per non risvegliarsi l’indomani peggiorato nelle sue condizioni. Una vita difficile, fatta di visite, di continui ricoveri in ospedale e attaccata ai tubicini delle bombole d’ossigeno che lo aiutano a respirare giorno e notte. Non per questo un’esistenza triste o sprecata la sua, ma, come ci ha raccontato, assaporata giorno per giorno, istante per istante, senza mai perdere il sorriso o l’ironia o distogliere lo sguardo dagli affetti più cari. “Non mi sento un poverino”, ci tiene a precisare Luca con la grinta di un “leone in gabbia”, come ama definirsi lui, che si sente prigioniero di un corpo che lo limita ma che non gli impedisce di smettere di lottare piegando la testa davanti alla sua patologia.
In che modo affronti quotidianamente la tua malattia?
Con il tempo ho imparato a vivere “alla giornata”: nel senso che, ogni sera, quando vado a letto, non so mai come mi sveglierò il giorno seguente, se i miei sintomi saranno peggiorati o meno e prego Dio ogni volta che non accada. Per questo motivo affronto ogni singolo giorno con calma e se la mattina, quando apro gli occhi, sto male o sono giù, mi dico: è come una giornata di pioggia, dopo viene il sereno, e aspetto che il temporale passi.
Cosa ti dà la grinta per andare avanti nonostante i “temporali”?
Le persone che mi vogliono bene: la mia famiglia, i miei amici… I “temporali”, chiamiamoli così, sono duri: soffro, certo, spesso ho pianto e qualche volta ho persino avuto la tentazione di buttarmi dal balcone, ma sono giunto conclusione che non ne vale la pena: mi sento amato da tanta gente e non ho intenzione far soffrire nessuno uccidendomi. Non sono solo e non lo sono mai stato e questo mi ha dato la forza di andare avanti, anche con la mia malattia e tutti i disagi che porta con sé.
Prima hai detto che preghi Dio di non peggiorare: in questo trovi conforto al tuo star male?
In realtà non sono religioso in senso stretto, i miei genitori sono cattolici, ma io non vado in Chiesa ma sono fermamente convinto che ci sia Qualcuno che mi ascolta e che non mi lascia mai da solo.
Ti è mai capitato di chiederti perché sia toccato proprio a te tutto questo?
È una domanda che mi sono posto molto di frequente, alla quale non so però dare risposta. Ma in più occasioni mi sono accorto che la mia malattia si tramuta spesso in qualcosa di utile per gli altri: io tento di essere sempre essere positivo e di vivere il più normalmente possibile, anche se andare in giro con la macchinetta dell’ossigeno è dura, e in più occasioni ho visto tanta gente che viveva arrabbiata e stizzita per piccole cose, domandarsi come facessi io, nelle mie condizioni, a continuare a sorridere e riprendere a gustarsi la vita.
Quindi sei un buono sprone per gli altri!
Sì, ma non solo mi sento utile agli altri, perché la malattia ha insegnato molto anche a me. Innanzitutto a non passare per il “poverino” di turno, per quello “un po’ sfortunato”: io sono una persona normale, come tutti, e come tutti ho dei problemi. Non ho la salute, ma ho due genitori e un fratello che mi vogliono bene, non mi manca il cibo, ho tanti amici che mi stanno e mi sono sempre stati vicino: c’è chi ha tutto, chi è in perfetta forma fisica, eppure è solo.
La tua vita è tutto meno che superficiale.
Già… ho iniziato ad apprezzare le piccole cose della vita. Vedo tanta gente che si butta via e perde tempo a far niente, senza accorgersi che il tempo prima o poi finisce.
È vero che hai scritto un libro sulla tua storia?
Sì, è vero, e sto cercando un editore disposto a pubblicarlo. Fino ad ora ho vissuto nel silenzio, con discrezione, ma ho deciso di raccontarmi per far conoscere agli altri che è bello anche vivere così, attaccati a una bombola d’ossigeno.
(Maddalena Boschetto)