E la vita rovinata. Se vivrà. Gli hanno asportato il colon, dopo le sevizie assurde che gli hanno inflitto. Ha la vita rovinata due volte, se sopravviverà. Perché odierà il mondo, ne avrà paura, per sempre.
Vincenzo aveva un difetto, che avrebbe superato facilmente. Ora ne sarà segnato. Era grassoccio, Vincenzo. “Obeso”, dicevano di lui. Chissà quante volte si sarà disprezzato, si sarà nascosto. Quante volte avrà pensato all’amore, certo che una ragazza lui non l’avrebbe mai trovata. Quante volte si sarà vergognato, davanti ai suoi compagni, pronti a tuffarsi in spiaggia al primo sole, infastiditi dall’essere suoi compagni di banco.
Strabordante, Vincenzo. Se vivi in certe famiglie, in questi casi, ti portano dal dietologo ai primi avvisi di un eccessivo aumento di peso, e poi dallo psicologo. Non se stai a Pianura, quartiere di Napoli, dove i problemi sono altri. Dove è permesso a vitelloni e delinquenti eludere le leggi minime di convivenza, sporcare, urlare, insultare e picchiare. Dove è permesso divertirsi prendendo in giro un ragazzino, e già questo sarebbe un delitto, perché ci sono ferite che bruciano l’anima, non meno gravi di quelle fisiche. Ma con Vincenzo si sono trasformati in aguzzini, osando l’impensabile, lo sfregio e la tortura più violenta e più assurda. Poi dicono di Abu Graib.
Ce li abbiamo accanto a noi, i sadici di Auschwitz, gli assassini dell’Isis. La differenza è che questi sono soltanto stupidi, ma non meno pericolosi. Vincenzo stava lavando il suo motorino. L’hanno aggredito in tre, tutti ultraventenni. Gli hanno tirato giù i pantaloni e l’hanno sodomizzato, con un compressore, e gli hanno pompato aria nell’intestino. Per vedere se scoppiava? Per farlo diventare ancora più grasso, e deriderlo meglio? Sono così stupidi che non lo sanno spiegare. Non sanno neanche capire quel che hanno fatto, e si difendono balbettando, “era uno scherzo, non volevamo”.
Ma è grave che le stesse parole le proferiscano i loro familiari e amici, chiedendo giustizia, sì, ma non condanne troppo dure, perché sono dei ragazzi. E’ il fare da cosca, da familismo camorrista cui troppe volte Napoli ci ha abituato, ahinoi. Sono ragazzi. Uno di questi è pure padre, ha un bambino. Che avrebbe ammazzato, se fosse cresciuto cicciottello? A che scuola lo iscriverà? Quella del boss di quartiere? Che umanità ci aspettiamo, da chi insulta il pianto della povera madre di Vincenzo, chiedendo comprensione, non pietà, in ginocchio, straziati dalla tragedia causata. Che rieducazione possiamo sperare avvenga.
Vero, non è solo Napoli. Il bullismo dilaga, forma estrema di distrazione, dove il termine è da intendersi in senso letterale, strapparsi dalla ragione, andar fuori di testa. La noia, il vizio, senza la grandezza che li ha fatti ispiratori di capolavori.
L’indifferenza, il non senso, fatto più colpevole da una consapevolezza, da strumenti di informazione e comunicazione oggi alla portata di tutti. Pare che il bullismo si autogeneri dalle chiacchiere sui bulli, che l’imitazione e la ricerca di un oltre che “spacchi” superino ogni riflessione. E allora non restano che due soluzioni: pene severe, severissime, altro che comprensione. Carcere, certo, per i maggiorenni, ma soprattutto duro lavoro ai servizi sociali, e sotto stretto controllo. E poi educazione: è il compito più arduo, la scommessa più incerta, ma l’unica che può pagare, alla distanza. Ricordare a questi ragazzini e a quelli come loro cosa significa essere uomini. Perché Vincenzo possa camminare per strada sicuro, tornare a sperare, e volersi bene.