Se si muove Piero Sansonetti con un editoriale de Il Garantista, e se lo fa con parole di fuoco, vuol dire che il caso è serio. Scrive: Ho scoperto che tra i miei colleghi giornalisti ci sono diverse persone di idee naziste. Stanno organizzando una mobilitazione generale della categoria per linciare Renato Farina. Dicono che è un appestato, che ha lavorato per i servizi segreti, che merita l’ergastolo — almeno l’ergastolo professionale, cioè la proibizione per il resto della sua vita, e forse anche quella dei suoi figli, di scrivere sui giornali — dicono che se lui fa parte dell’Ordine dei giornalisti loro se ne vanno e che sarebbe bene radunare tutti i comitati di redazione contro Farina, e che è indegno e altre cosette così. A me queste persone fanno paura. Non riesco a immaginarle senza una divisa addosso, un elmetto, un paio di “esse” stilizzate sulle spalline”.
Sansonetti, che non ha mai rifiutato la definizione di “comunista”, aveva in passato polemizzato duramente con l’ex vice di Libero. Probabilmente non vede l’ora di discuterci ancora. La stessa posizione, favorevole senza se e senza ma, alla riammissione di Farina, era stata sostenuta da Luigi Manconi, senatore del Pd e presidente della Commissione diritti umani, senza entrare nel merito della vicenda, ma contestando la logica della segregazione perpetua, il fine pena mai.
Stranamente invece nessuna voce pubblica allora e oggi si è alzata nell’ambito giornalistico non di sinistra, paradossi di questa Italia.
Per parte nostra, dato che la faccenda riguardava un amico che da sempre collabora a questo giornale, fino a un attimo fa avrebbero potuto dire che saremmo stati sfacciatamente di parte ad aprire noi il caso. Ma ora che la breccia è aperta, ci infiliamo anche noi. Lo riteniamo un nostro dovere.
Riteniamo sia uno scandalo inchiodare una persona alle sue colpe, che in questo caso tra l’altro sono state autorevolmente smentite. Non è possibile aggredire come un branco di lupi l’altro. Anche il mancato sostegno di giornalisti per così dire di area (Farina è stato deputato di Forza Italia e ha partecipato all’ufficio di direzione anche de Il Giornale) fa capire che per molti vale l’antico motto hobbesiano “mors tua, vita mea”. Il mondo sarà un po’ migliore quando si convertirà al realismo di un altro aforisma: “Mors tua, mors mea”.
Per chi non conoscesse gli sviluppi di cronaca, qualche cenno.
I primi giorni di settembre abbiamo riferito che l’ex vicedirettore di Libero, dopo otto anni, era stato riammesso nell’Ordine dei giornalisti della Lombardia con voto positivo unanime. Farina era stato sospeso nel settembre del 2006, poi radiato nel marzo 2007, quindi questa sentenza fu annullata dalla Cassazione nel giugno del 2011.
L’accusa avallata dagli organi disciplinari dei giornalisti era stata di aver collaborato con i servizi segreti italiani, nello specifico quelli militari, nella vicenda della “rendition” in Egitto di Abu Omar.
Nel frattempo i presunti autori del sequestro, che Farina avrebbe favorito, sono stati prosciolti da ogni accusa. Inoltre il direttore dell’intelligence italiana, al tempo delle condanne di Farina, il generale Nicolò Pollari, ribalta con dichiarazione giurata come falsità e calunnie quelle accuse, sostiene che Farina ha agito per ragioni umanitarie, su diretto invito del governo, senza alcun compenso per sé, con il risultato di aver salvato vite di ostaggi.
Insomma, una volta riammesso, sia pure con qualche mugugno, tutto pareva rientrato nei canoni della serenità.
Improvvisamente a freddo, in Consiglio nazionale dei giornalisti, alcuni delegati dichiarano di non poter stare nello stesso Ordine dove c’è “uno spione”, chiedono dunque a gran voce di sbatterlo fuori. Gli ordini regionali di Lazio, Campania, Puglia, Emilia-Romagna si uniscono nel chiederne la cacciata.
Ora l’articolo di Sansonetti, così duro, avverte che si sta praticando, nell’omertà generale, un linciaggio morale.
Nel nostro piccolo, siamo solidali con l’amico Renato. Ed anche se non lo conoscessimo, saremmo senza se e senza ma, per il rispetto della legge. Chi ha scontato una pena, giusta o ingiusta che sia, non può essere segregato nella Cayenna dei reprobi.