Il 21 novembre è il giorno in cui la Chiesa Cristiana venera San Gelasio, tuttora l’ultimo papa di origine africana.
Nato a Cabilia, nel 400, Gelasio diventa pontefice in un momento molto particolare, quello che vede l’Italia cambiare dominatore straniero, ovvero proprio mentre Teodorico, dopo la strage di Odoacre che coinvolge anche tutta la sua famiglia, inaugura un regno che durerà per ben tre decenni. Oriundo dell’Africa, ma romano nello spirito, tanto da scriverlo senza alcun timore, Gelasio si fa notare in particolare per la sua strenua lotta alle superstizioni pagane ancora in voga nel centro dell’Impero, ergendosi con tutta l’autorevolezza della sua voce contro i lupercali. Si tratta di un fenomeno molto stravagante, che vede la grotta indicata come il luogo leggendario in cui la lupa avrebbe allattato Romolo e Remo teatro di una festività tale da sfociare non di rado in vere e proprie orge. Nonostante le ripetute proteste dei papi che lo hanno preceduto, le autorità non si sono mai effettivamente adoperate al fine di stroncare l’avvenimento, anche perché una parte delle classi popolari vede proprio nell’abbandono del vecchio culto l’origine dei mali che hanno colpito Roma nel corso degli ultimi decenni, considerandolo con tutta evidenza propiziatorio. Per stroncare una usanza reputata offensiva, proprio Gelasio si adopera per la scrittura di un breve trattato in cui enumera con precisione inesorabile le pratiche che fanno di quella tradizione qualcosa di assolutamente inoffensivo. Le ragioni alla base di quello scritto convincono finalmente le autorità ad andare contro i sostenitori dei lupercali e la parte del Senato che li ha sino ad allora affiancati. Un successo che aumenta enormemente il prestigio del papa africano, facendone una figura di grande rilievo. La stessa fermezza distingue il suo comportamento verso gli Imperatori e nei confronti dei patriarchi orientali, soprattutto in occasione dello scisma di Acacio, quando non tiene in conto le raccomandazioni dell’imperatore Anastasio I e del Patriarca di Costantinopoli, Eufemio, facendo eliminare il suo nome dai Sacri Dittici. Proprio per combattere le pretese imperiali, Gelasio arriva tra l’altro a fare sue le dotte formulazioni di Agostino e Ambrogio, nel 494, arrivando alla separazione dei poteri di Chiesa e Stato, che è da allora una consuetudine della cultura occidentale.
Allo stesso tempo, mostra un profilo collaborativo con Teodorico e con gli Imperatori d’Oriente, avendo però cura di partire da un presupposto indiscutibile, quello relativo al primato romano. Lo stesso che del resto riafferma anche verso l’imperatore Anastasio I nella disputa su Acacio, affermando che la supremazia assoluta non può che spettare di diritto a colui che Cristo ha posto a capo di tutto e tutti e come tale, di conseguenza, riconosciuto all’interno della Chiesa. Il suo pontificato è caratterizzato anche dalla continua spinta verso l’ortodossia, che viene incentivata in particolare tramite la definizione dei libri da considerare canonici. Proprio in questo ambito, la fissazione del Canone della Bibbia viene tradizionalmente attribuita a Gelasio, pur essendo invece, con tutta probabilità, stata realizzata da Damaso I. Il suo zelo verso la maestosità e la grande bellezza del servizio divino, lo spingono a comporre una lunga serie di inni e prefazioni, oltre a stilare un libro, il Messale, il quale viene comunemente indicato con il suo nome. Va però rimarcato come sia ancora aperto il dibattito su quanto del Sacramentarium Gelasianum, debba effettivamente essere attribuito a Gelasio.
All’ultimo papa africano è dovuto peraltro anche l’inizio dell’usanza riguardante le ordinazioni nei giorni di magro.
Il suo pontificato, durato un quadriennio, viene ricordato come quello in cui vengono indeboliti sino all’annullamento gli ultimi residui ancora esistenti di paganesimo, oltre che per la lotta strenua contro manicheismo, ancora forte a Roma, e pelagianesimo, influente invece in Dalmazia e nel Piceno. Un periodo breve, ma non per questo meno intenso, nel corso del quale Gelasio dimostra particolare attitudine non solo nella lotta alle eresie, ma anche nel perseguire l’elevazione spirituale e materiale dei bisognosi. Tanto da spingere Dionigi il Piccolo a dire di lui che muore povero dopo aver arricchito i poveri. Un giudizio derivante probabilmente dal fatto che nel corso di una delle tante carestie dell’epoca si spinge a regalare tutti i suoi averi ai poveri. Dopo il suo decesso, avvenuto nel 496, sarà sepolto all’interno della Basilica di San Pietro.