PAPA FRANCESCO/ Omelia di Santa Marta: il digiuno più difficile è chinarsi senza vergogna sull’uomo ferito

- La Redazione

Sappiamo ancora “carezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini” oppure abbiamo perso “il senso della carezza”? E’ questa la domanda che ha posto Papa Francesco nella sua omelia

bergoglio_papafrancesco_salutozoomR439 Papa Francesco (Infophoto)

Sappiamo ancora “carezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini” oppure abbiamo perso “il senso della carezza”? E’ questa la domanda che ha posto oggi Papa Francesco nella consueta Messa mattutina a Casa Santa Marta, durante la quale ha sottolineato che non dobbiamo vergognarci “della carne di nostro fratello: è la nostra carne! Come noi facciamo con questo fratello, con questa sorella, saremo giudicati”. Il Pontefice ha introdotto questa riflessione prendendo come spunto il dialogo del Vangelo odierno tra Gesù e i dottori della legge, i quali criticano i discepoli per il fatto di non rispettare il digiuno, a differenza loro che invece ne praticano molti. I dottori però, ha spiegato il Papa, avevano ormai trasformato l’osservanza dei Comandamenti in una formalità, dimenticandone invece la radice e il senso profondo. “Ricevere dal Signore l’amore di un Padre, ricevere dal Signore l’identità di un popolo e poi trasformarla in una etica è rifiutare quel dono di amore. Questa gente ipocrita sono persone buone, fanno tutto quello che si deve fare. Sembrano buone! Sono eticisti, ma eticisti senza bontà, perché hanno perso il senso di appartenenza a un popolo! La salvezza, il Signore la dà dentro un popolo, nell’appartenenza a un popolo”. Il Pontefice ha quindi sottolineato che già il Profeta Isaia aveva chiaramente descritto quale fosse il digiuno secondo la visione di Dio: “Sciogliere le catene inique”, “rimandare liberi gli oppressi”, ma anche “dividere il pane con l’affamato, introdurre in casa i miseri senza tetto”. E proprio questo è “il digiuno che vuole il Signore – ha detto il Papa – Digiuno che si preoccupa della vita del fratello, che non si vergogna della carne del fratello. La nostra perfezione, la nostra santità va avanti con il nostro popolo, nel quale noi siamo eletti e inseriti. Il nostro atto di santità più grande è proprio nella carne del fratello e nella carne di Gesù Cristo. L’atto di santità di oggi, nostro, qui, nell’altare, non è un digiuno ipocrita: è non vergognarci della carne di Cristo che viene oggi qui! E’ il mistero del Corpo e del Sangue di Cristo. E’ andare a dividere il pane con l’affamato, a curare gli ammalati, gli anziani, quelli che non possono darci niente in contraccambio: quello è non vergognarsi della carne!”. Il digiuno più difficile, quindi, “è il digiuno della bontà”: “Quando io do l’elemosina, lascio cadere la moneta senza toccare la mano? E se per caso la tocco, faccio così, subito? Quando io do un’elemosina, guardo negli occhi di mio fratello, di mia sorella? Quando io so che una persona è ammalata, vado a trovarla? La saluto con tenerezza? C’è un segno che forse ci aiuterà, è una domanda: so carezzare gli ammalati, gli anziani, i bambini o ho perso il senso della carezza? Questi ipocriti non sapevano carezzare! Se ne erano dimenticati… Non vergognarsi della carne di nostro fratello: è la nostra carne! Come noi facciamo con questo fratello, con questa sorella, saremo giudicati”.







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