Il Corriere della Sera, venerdì, ha pubblicato la lettera di un ragazzo di Locri, appena diciottenne. Riccardo Francesco Cordì, questo il nome del teenager calabrese, ricorda che il padre fu ucciso quando lui era poco più di un neonato e racconta di aver visto finire in carcere i suoi fratelli. Ma racconta anche che dopo essere stato allontanato da Locri con una decisione del Tribunale dei minori ha trovato, in Sicilia, un aiuto da «quello Stato che prima era così lontano» e che ora gli «sta dando diverse possibilità». Ed anche adesso che è ritornato nella Locride vuole vivere sereno, non avere più problemi con la giustizia e continuare ad avere a fianco uno Stato che non è più quello che lo portava via da casa ma che lo riconosce per quello che è davvero, «un ragazzo di 18 anni, un ragazzo come gli altri».
Riccardo individua lo Stato con la persona che lo ha aiutato a Messina, dove era stato trasferito, uno psicologo di un’associazione di volontariato.
Vorremmo dire a Riccardo che lo “Stato” è fatto da persone. Ha avuto la fortuna di incontrare a Messina uno che è stato capace di aiutarlo a confrontarsi con se stesso e con la realtà, con tutta la realtà, compresa quella della costa calabra che dalla Sicilia è stato capace di guardare con occhio diverso. Lo Stato, inteso come autorità, visto da piccolo, nel suo ambiente familiare, come una entità nemica, può assumere una forma diversa, anche dietro la divisa di un carabiniere o dentro la toga di un giudice, a secondo di chi quella divisa, quella toga la indossa.
La realtà, più che lo Stato, può essere amica o nemica di un ragazzo come Riccardo così come di una persona matura, a Locri o in qualsiasi altro posto, a secondo di chi uno ha la fortuna (o la grazia nell’accezione cristiana) di ritrovarsi a fianco.
Così si possono leggere le esperienze di altri ragazzi, anche loro calabresi. Come Roberto, nato in una famiglia di Cosenza, con i fratelli che entravano ed uscivano dal carcere; vissuto in una casa-famiglia, a diciotto anni ha avuto la possibilità di andare a fare un’esperienza di lavoro al nord, grazie al rapporto di amicizia tra chi gestiva la struttura di educazione ed accoglienza e un imprenditore padovano del settore turistico. Ha imparato un mestiere ed oggi lavora come chef in uno dei migliori ristoranti della costa tirrenica calabrese.
Ma ci può essere anche una storia controversa come quella di Salvatore. Dopo un’adolescenza complicata, tra droga, arresti e risse, riesce a trovare lavoro in una cooperativa sociale, in cui operano altri ex detenuti, tossicodipendenti e cosiddette “vittime dell’emarginazione sociale”, creata da un sindaco attento come Giacomo Mancini.
Per un reato banale finisce però nuovamente in carcere, per qualche mese. Quando esce non trova più il suo lavoro nella cooperativa: qualcuno ha cancellato il suo nome sostituendolo con quello di un altro. Da lì ricade in un vortice in cui l’unica risposta che gli dà lo Stato, dopo le “porte girevoli” delle carceri, è quella di trascinarlo in strutture, come quella dell’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto, tenute ancora in piedi, per proroga, nonostante la stessa legge le dichiari inadeguate e illegali.
Ma anche una storia come quella di Vincenzo, in provincia di Catanzaro, arrestato per possesso di droga finalizzato allo spaccio e poi riconosciuto completamente innocente e assolto. Ha in corso, dopo sei mesi di detenzione e anni di varie udienze, un procedimento per il riconoscimento del risarcimento per ingiusta detenzione, che gli sarà prossimamente concesso. Qualche migliaia di euro in tasca, tanto da viverci un anno o forse due, ma ad ormai trenta anni di età, dopo la foto finita più volte sui giornali, nessuno ha il coraggio o la forza di dargli la possibilità di lavorare.
Non è quindi lo Stato ad essere buono o cattivo. E la questione non sta nemmeno nella bontà, ridotta oggi a “correttezza etica”, dei singoli. Lo Stato svolge bene il suo compito quando sostiene persone come quelle che hanno aiutato Riccardo o Roberto nel trovare la strada per la propria vita; o quando almeno non le ostacola. Uno Stato cioè, capace di sostenere chi educa. Lo Stato invece fallisce quando pretende di sostituirsi a chi ha a cuore l’educazione di chi gli sta a fianco.
(Sabatino Savaglio)