Delitto, castigo e perdono: no, non parliamo di Fedor Dostoevskij e di uno dei romanzi più incredibili della storia, ma di Pescara, della brutta storia del bambino ucciso cinque anni fa dal proprio padre in preda da un delirio letale. Patrizia Silvestri, moglie e madre del piccolo, torna sulla cresta della notizia oggi essere tornata a vivere con Massimo Maravalle: hanno ricominciato la loro vita insieme da qualche giorno dopo l’anno scorso, nella notte tra il 17 e il 18 luglio, l’uomo in preda alla follia, così pare, si alzò dal letto e soffocò nel sonno il proprio bimbo adottivo di cinque anni e dopo provo a fare altrettanto con la donna. «L’ho perdonato, non era in lui in quel momento e ora proviamo a ricominciare insieme»: sconvolge certo questa notizia, lascia anche sbigottiti perché non è un fatto normale e come tutti i fati anomali li guardiamo con una certa diffidenza, se non terrore. Eppure così sta accadendo dopo che Massimo ha riacquistato la libertà: ha scontato 14 mesi di permanenza nella casa di cura e custodia dell’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, vicino a Caserta. La perizia psichiatrica del dottor Renato Ariatti (lo stesso che si pronuncio anche su Anna Maria Franzoni e Bernardo Provenzano) ha stabilito di recente che Maravalle non è socialmente pericoloso, a patto che continui cure e farmaci già prescritti. È in libertà vigilata dopo che il Gip è stato convinto da questa perizia e adesso, con tutta la fatica che può voler dire quest’affermazione, può ricominciare la vita “normale”. Ma si può ricominciare dopo tutto questo? Certo, due volte a settimana l’avvocato Maravalle dovrà presentarsi al Centro Di Salute Mentale di Pescara per relazionare il suo stato psico fisico, ma intanto vivrà a casa con la moglie. Al Corriere della Sera la donna ha ammesso quanto sia difficile ricominciare «la perdita di Maxim è il dolore più grande che abbiamo e Massimo è ancora più affranto per non aver compreso che la malattia gli faceva vedere le cose in maniera completamente distorta»: Gip e medici si attengono alla legge e al momento la applicano in questo modo, permettendo con queste condizioni presenti la libertà vigilata, ma la moglie? Probabilmente, lei è l’unica che sta agendo liberamente, scegliendo, rischiando di vivere di fianco al proprio marito dopo l’aberrazione più grande commessa, nonostante la malattia. Ebbene il giudizio è già questo, lei ha deciso sfidando tutto e tutti, di “scommettere” su quel bene, non dimenticando la tragedia del figlio, ma provando ad affrontare fianco a fianco dell’uomo la malattia che ha portato a quel delitto. Vivendo in memoria di un bene, Maxim, un altro bene presente, Massimo: c’è molto più Dostoevskij di quanto non si possa immaginare.