E’ di un morto e diversi feriti il tragico bilancio del crollo di una palazzina, avvenuto alle otto del mattino di ieri, martedì 7 luglio, nel centro storico di Taranto, causato dall’esplosione di una bombola di gas. Bilancio terribile, ma migliore di quanto sarebbe stato se altre numerose bombole di gas, custodite nell’appartamento al primo piano sbriciolatosi per l’esplosione, fossero esplose e se fosse stata presente più gente nella strada investita dal botto e immediatamente da un’enorme nuvola di polvere. Le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, intervenuti tempestivamente, hanno dovuto scavare quattro ore per recuperare il corpo purtroppo senza vita dell’unica vittima, un uomo cingalese di cinquantanove anni che, assieme ad alcuni compatrioti, abitava nell’appartamento. Il crollo del solaio della loro casa ha inoltre coinvolto due donne che abitano al primo piano, ferendole, mentre gli inquilini degli altri appartamenti sono stati tratti in salvo attraverso i terrazzi e le finestre.
Occorre amaramente constatare che ogni tanto riaccade. Da qualche parte d’Italia, in palazzine più o meno centrali, la tragica evenienza di scoppi, incendi, cedimenti strutturali mette in pericolo fino al rischio della vita persone tra noi che, come tutti, vorrebbero avere nella casa il rifugio, il nido sicuro. Si tratta di disgrazie, anche se quasi sempre evitabili. Nel caso di Taranto: cosa ci facevano diverse bombole di gas ammonticchiate in un piccolo appartamento, abitato da tanti uomini? Sarebbe facile probabilmente smascherare l’incuria e la totale ignoranza delle più elementari regole sulla sicurezza. Chiunque ha un impianto termico o a gas in casa sa bene, ad esempio, che si esigono controlli periodici. Tutti noi affrontiamo annualmente la spesa per il tecnico che viene a controllare la caldaia del gas. Tutti? Evidentemente no. L’ineliminabile ripetersi di tragedie come a Taranto evidenziano esattamente il contrario.
C’è un dato ulteriore: l’invecchiamento delle nostre città, la crisi verticale dell’edilizia, la mancanza di soldi. Molte regole sulla sicurezza sono state decise di recente. Per aderirvi occorrerebbe probabilmente radere al suolo metà del patrimonio immobiliare italiano. Lo sappiamo indirettamente dall’edilizia scolastica: gran parte degli studenti italiani, a sentire il legislatore e le sue norme sulla sicurezza, rischia quotidianamente la vita. Dio non voglia che accada un terremoto, un incendio, un’inondazione. E anche senza queste sciagure naturali, ogni tanto soffitti si staccano, calcinacci crollano, muri crepano. Cosa chiedere allora, nuove leggi? Cosa deve fare lo Stato, andare casa per casa, ispezionare ogni appartamento, sfrattare chi non è in regola? No, direi di no. Una legge non è una magia che istantaneamente fa diventare nuove le migliaia di abitazioni obsolete e sicuri i muri fatiscenti di chissà quante palazzine. La situazione è questa, molto difficile, ma se già ognuno, a casa sua, facesse il minimo per migliorare lo standard di sicurezza, non saremmo ogni tanto a piangere qualcuno morto perché la sua casa, il suo rifugio, gli è improvvisamente crollato addosso.