Il mondo anglosassone segna un altro punto nella ricerca scientifica: è il progresso, bellezza. Per la prima volta al mondo, annunciano tra stupite ed esaltate le notizie d’agenzia, alla Rockefeller University di New York e a Cambridge sono riusciti a coltivare embrioni umani fino a 13 giorni, oltre il punto in cui solitamente vengono impiantati nell’utero. Per i non addetti ai lavori, che credono ancora alla cicogna, o al fatto che i bambini nascono dalla fecondazione di un ovulo tramite uno spermatozoo mediante un rapporto sessuale: i trattamenti per la sterilità prevedono come pratica normale la fecondazione in provetta, ed è una benedizione per tutte le coppie che hanno problemi seri ad avere un figlio. La medicina aiuta l’uomo (sempre che si tralascino derive eugenetiche e compravendita di uteri, cosa ormai abituale).
Di solito, si fanno crescere in vitro gli embrioni e poi si inseriscono nella loro casa naturale, l’utero materno. In genere al settimo giorno, che bella cifra, magari non casuale. Sette è il numero della creazione. Ma fino a 13 giorni, perché? E come? Simulando un utero chimico, e mantenendo l’embrione a crescere lì dentro, seguendo i processi di sviluppo che portano l’embrione a diventare essere umano.
Tutto tranquillo? L’essere umano quando diventa tale? Gli scienziati coltivando embrioni come farebbero con piante e cavie vedono la formazione dell’epiblasto, ovvero il gruppo di cellule che andranno a costituire il corpo del bambino. Sono momenti meravigliosi, cruciali, sono l’origine della vita, il miracolo della differenziazione, dell’unicità e irriducibilità dell’uomo a qualunque altra forma di vita. Sono attimi da guardare con timore e tremore, per capire, per individuare tutte le tecniche possibili perché la vita trionfi, la fecondazione avvenga, il bambino nasca sano, dopo nove mesi.
Ma è questo lo scopo primario? Osservare, ammirare, sapere, conoscere per aiutare l’uomo? Oppure perché coltiviamo bambini? Per intervenire nella loro formazione, per modificarla, per mettere le mani sulla vita e piegarla al nostro volere. E poi, cosa sono quei grumi di cellule invisibili a occhio nudo che hanno la potenzialità, la volontà di diventare uomo, donna. Quando diventano essere umano, appunto, persona. C’è una data precisa? Quando sentono, scalciano, quando batte il cuore, quando respirano da soli e vengono alla luce?
Siamo alle solite. Si tratta di materiale organico da usare, foss’anche per la più nobile ricerca, o di vita umana? E dopo quei 13 giorni, quando li abbiamo utilizzati e studiati, che ne facciamo? Passiamo ai prossimi? Anche solo il sospetto, il dubbio che si stia faustianamente cercando di costruire l’uomo dovrebbe suggerire prudenza, e sgomento, prima ancora che direttive e leggi che regolino la scienza, che non è mai libera in modo assoluto, ma sempre relativamente a. Meraviglioso che si possa trapiantare un rene, non accettabile che venga sottratto a forza ad un uomo per salvarne un altro. Non si distrugge la vita per servire la vita.
Conosco le reazioni dei fautori delle magnifiche sorti e progressive: ponendo continuamente limiti si fremerebbe la ricerca, la scienza. A parte che i limiti non esistono più, e chi si pone il problema è automaticamente schierato tra i bacchettoni, gli oscurantisti e gli ignoranti, dipende dal fine. Se il fine è la vita, favorirla, tutelarla, sanarla, ogni tentativo della scienza è buono e giusto. Ma sacrificando altra vita? Il fine buono giustifica i mezzi? E’ lecito stare a pensare, ricorrendo a tutta la ricchezza e vastità che la nostra ragione possiede. Che istintivamente, se si ferma un attimo, trova strano, innaturale e pericoloso manipolare cellule umane, trova stridente e insostenibile già solo quel termine “coltura”, coltivare, che viene impiegato con leggerezza. Stiamo ancora aspettando una condanna netta, una messa al bando dell’utero in affitto. Ecco, risolto. Fra poco i figli, senza neanche più sfruttare uomini e donne, potranno essere costruiti comodamente in laboratorio, inviando per posta cellule da incrociare, o scegliendole su catalogo, come già avviene. Selezionando, buttando gli scarti. Dopo nove mesi di utero chimico potremo andare a prenderci il bambino confezionato, con tanto di corredino ad hoc, sempre che non ci garantiscano anche una spedizione rapida, che è più comodo. Scusate se storciamo il naso. Ci hanno sempre detto che avere dubbi è proprio della scienza vera.