Fca continua a difendersi dopo le accuse dell’Epa e l’indiscrezione secondo cui il Dipartimento di Giustizia Usa starebbe indagando sulla vicenda delle emissioni. Fca ha detto di avere “un dialogo continuo” con le due istituzioni degli Stati Uniti, “un confronto che prosegue da alcuni mesi e che continuerà con la nostra completa collaborazione”. Le cose non vanno meglio su questa sponda dell’Atlantico e alle richieste della Commissione Ue si aggiunge anche quella del Regno Unito, il cui dipartimento dei Trasporti ha fatto richiesta urgente di informazioni all’Epa e alla stessa casa automobilistica italoamericana. Lunedì, poi, Fca dovrà difendersi dalle accuse arrivate dal Carb, la commissione per la difesa ambientale della California, che aveva messo sotto accusa i sensori elettronici finiti anche nel mirino dell’Epa. I tecnici del gruppo dovranno quindi presentare le loro proposte per adeguare i motori alle richiesta della commissione californiana. Non si può certo quindi dire che sia un momento facile per Fca.
Fca non attraversa un momento facile. Oltre alle accuse dell’Epa negli Stati Uniti, con le indiscrezioni secondo cui sarebbero partite indagini anche del Dipartito di Giustizia, la Commissione europea vuole che si risolva al più presto una diatriba che riguarda le emissioni della 500X. Alcuni mesi fa, infatti, il ministero dei Trasporti tedesco aveva messo in dubbio la compatibilità del sistema di verifica delle emissioni inquinanti dei motori diesel montati sulla vettura. La Commissione europea ha chiesto quindi alle autorità italiane, responsabili dell’omologazione, di fornire una spiegazione. Bruxelles rimprovera ora l’Italia di “aver rinviato continuamente la data” per l’invio della documentazione e ora chiede di stringere i tempi. L’accusa tedesca è che sull’auto vi sia un software in grado di disabilitare virtualmente i filtri di scarico dopo 22 minuti, quanto i test sulle emissioni avvengono nell’arco di 20 minuti. Tale software potrebbe essere anche presente su altri modelli del gruppo.
Un’altra tegola si abbatte su Fca. Secondo quanto riportato dall’agenzia Bloomberg, la casa automobilistica sarebbe sotto indagine da parte del Dipartimento di giustizia Usa per la presunta mancata comunicazione del software capace di violare gli standard sulle emissioni. La notizia ha subito sentire i suoi effetti a Wall Street, dove il titolo di Fca ha annullato il rimbalzo che stava compiendo, passando poi in rosso e riuscendo a recuperare nel finale, chiudendo comunque in calo del 2,21%. Non è detto ovviamente che possa partire un’azione penale contro la casa automobilistica italoamericana, che tra l’altro ha già un’indagine pendente con il Dipartimento di Giustizia riguardante le pratiche delle vendite usate nei concessionari di Fca, che potrebbero aver portato a “gonfiare” i dati sulle vendite del gruppo. Non resta quindi che attendere conferme o smentite sulla vicenda, oltre che l’apertura di Piazza Affari lunedì mattina per vedere come reagirà il titolo.
Un nuovo dieselgate quello di Fca e di Renault, oppure un calcolo “politico” per cercare di indebolire due ottimi competitor mondiali ed europei come i gruppi italo-americani e francesi? La domanda ancora non ha una risposta, certo è che la battaglia scatenata giovedì da Epa contro Fca per le presunte illegalità sulle emissioni Diesel, praticamente la stessa accusa mossa un anno fa contro Volkswagen, rischia di andare avanti ancora a lungo. Le parti non ritrattano – e in più ieri scoppia anche la grana in Francia con Renault, indagata dalle stesse autorità di Parigi – con Epa che accusa e il gruppo Fca – Fiat Chrysler che rimanda al mittente; «Non abbiamo commesso alcuna frode. Il nostro caso non è in nulla assimilabile a quello di Volkswagen. Non permetteremo a nessuno di discutere la moralità della nostra azienda. Volkswagen ha montato un dispositivo che era in grado di distinguere quando l’auto si trovava su strada. Il nostro software si comporta sempre allo stesso modo. Chi ci paragona al gruppo tedesco ha fumato qualcosa di illegale“. Lo ha ribadito in un colloquio con Repubblica l’a.d. di Fca, Sergio Marchionne, dopo le accuse di un nuovo “dieselgate” da parte dell’Epa e della Carb. Se poi arrivano in difesa di Fca e di Marchionne addirittura i sindacati, storicamente non inclini a sconti per l’ad di Fiat già quando operava solo in Italia, allora significa che il caso è grosso che la sfida è molto al di là di una questione “ambientale”. «E’ una notizia che ci preoccupa, ma siamo in presenza di qualcosa di completamente diverso dalla vicenda dieselgate. In quel caso c’è stata una truffa, qui c’è un contenzioso di altro genere tra Epa e gruppo Fca. Il software di Fca non occulta le emissioni. Non ci sono le condizioni per ritenere il comportamento di Fca lesivo da un punto di vista della fiducia», afferma al Fatto Quotidiano il segretario di Uilm, Rocco Palombelli.
Sul caso Fca, secondo i sindacati italiani (come vediamo qui sopra, ndr) è in corso una battaglia ben più ampia della sfida a Fca: «E’ un fatto ascrivibile anche al cambio di presidenza Usa, con il gruppo vittima della lotta tra poteri forti. Ci auguriamo che non venga vanificato il sacrificio che i lavoratori hanno fatto in questi anni per avere un gruppo industriale internazionalizzato e competitivo», afferma Palombelli di Uilm. Una tesi che sposa in tanti non solo in Italia ma anche dagli stessi analisti Usa che stanno cercando di decrittare la vicenda Epa vs Fca sul presunto nuovo caso di Dieselgate. Nel frattempo però arriva la risposta “indiretta” della Casa Bianca che prova ad allontanare ogni possibile coinvolgimento nella vicenda sulle emissioni diesel di oltre centomila veicoli Fca Us con motore diesel. «La decisione dell’Agenzia per la protezione ambientale americana di accusare l’azienda guidata da Sergio Marchionne di avere violato le leggi sulle emissioni è stata presa indipendentemente dalla Casa Bianca». Con queste poche parole un alto funzionario dell’amministrazione Obama ha risposto a una richiesta fatta da AskaNews. Josh Earnest aveva spiegato che “le decisioni dell’Epa sono prese dai funzionari dell’Epa e non sono a conoscenza di un coinvolgimento della Casa Bianca su questo caso specifico”. Il portavoce al Ney York Times ha poi aggiunto che Obama si attende ovviamente che i funzionari Epa «svolgano i loro compiti per fare rispettare la legge e mettere in atto regole che sono scritte; come lo facciano esattamente, sta a loro». Cambierò tutto ora con l’insediamento di Donald Trump, visto che il tycoon ha già nominato come capo dell’Epa il repubblicano Scott Pruitt, procuratore generale dell’Oklahoma e stretto alleato dell’industria dei combustibili fossili nonché uno dei principali nemici dell’agenda di Obama per affrontare il cambiamento climatico, come giustamente riporta “Italia Oggi”.