Tra i 35 nuovi santi proclamati oggi dalla Chiesa Cattolica a Roma c’era anche lui, San Faustino Miguez, spagnolo, religioso degli Scolopi e fondatore della Congregazione delle Suore Calasanziane Figlie della Divina Pastora. Come narrano le storie sulla sua straordinaria vita, l’esistenza vissuta nella fede e nella sequela del Cristo, è stata dedicata all’insegnamento e alla promozione della condizione femminile, con la fondazione del nuovo ordine religioso delle sorelle Colasanziane. Faustino Míguez nacque il 25 marzo 1831 in Galizia, Spagna, e fu nominato sacerdote nel 1856 tra i padri Scolopi; l’anno successivo fu inviato alla prima fondazione scolopica a Cuba. Si spostò poi in diverse comunità della Spagna e visse oltre 50 anni tutto votato all’educazione dei più umili e all’evangelizzazione “tout court”: «serviva e amava il Signore nei bambini, specialmente i bisognosi, deboli o malati», ha spiegato il vescovo postulatore della sua causa di canonizzazione. Di lui però si ricorda in particolare l’attenzione per la condizione di abbandono e di ignoranza in cui viveva la donna: fondò quindi l’Istituto Calasanzio, Figlie della Divina Pastora per l’educazione delle bambine, prima di morire l’8 marzo 1925 sempre a Getafe (fu proclamato Beato il 25 ottobre 1998 da Giovanni Paolo II).
IL MIRACOLO DI VERONICA
Non poteva dunque che essere una donna la “protagonista” del miracolo che ha consegnato Padre Faustino Miguez alla canonizzazione della Chiesa Cattolica Universle. Una madre di famiglia, Verónica Stoberg, cilena, ha ricevuto il miracolo grazie all’intercessione del beato Faustino che la Chiesa ha riconosciuto per la canonizzazione del religioso: ai colleghi di In Terris ha raccontato la sua storia di miracolo prima di questa grande giornata di festa per la santificazione di Faustino e di altri 34 beati e martiri. «Quattordici anni fa rimasi incinta del mio quarto figlio. Da un momento all’altro cominciai ad avere un forte dolore alla pancia, da questa parte (e indica la zona destra, ndr). Tutto stava andando bene, non so cosa successe. Mi ricordo che mi sdraiai un po’, pensando che mi sarebbe passato il dolore che invece aumentava. Mia figlia andò a chiamare una vicina che mi misurò la pressione e si accorse che era salita troppo. Telefonarono al dottore che disse di portarmi subito al pronto soccorso. Avvisarono mio marito che mi portò in ospedale e quando arrivai persi conoscenza e non mi ricordo più altro».
È rimasta tre mesi in coma e vicinissima più volte alla morte: si è poi svegliata e in maniera incredibile è riuscita a raccontare quanto aveva avvertito durante quel lunghissimo periodo in lotta tra la vita e la morte. «riuscivo lo stesso a restare in contatto con questo mondo. Sentivo l’amore di mio marito che non si è mai allontanato da me, mi toccava, mi prendeva la mano e lo sentivo. Mi chiedeva di non abbandonarlo, di continuare a lottare e sentivo anche molto la presenza di madre Patricia (Olivares, ndr) che da qualche tempo aveva assunto la direzione del Collegio Divina Pastora dove studiavano due mie figlie. Io sentivo la sua presenza, sentivo come pregava, che mi stava accanto e sentivo una grande forza che mi pesava sul petto, sempre, qualcosa di caldo che mi chiamava con molta forza e molta energia». Ebbene, quella suora dell’ordine fondato da San Faustino aveva appoggiato sul ventre della donna in coma proprio una reliquia dell’educatore e santo spagnolo. «Per me fu una grande sorpresa quando me la mostrò: era un cerchio esattamente come quello che sentivo, un circolo che mi spingeva qui, sul petto», spiega ancora Veronica ai colleghi spagnoli.
“NON SONO PROTAGONISTA MA STRUMENTO DI DIO”
Oggi vive a Getafe, proprio la città di San Faustino e racconta la sua storia con la tenerezza commossa di chi poteva non esserci e invece ora, grazie a quell’intercessione, è qui a raccontarla. Il bambino era riuscito a nascere e sta bene per fortuna ma a lei è di fatto esploso il fegato dopo il parto: «Quando dissero a mio marito che stavano per staccare le macchine, che non c’era più niente da fare per me, era sabato. Mi fecero un esame e videro che con una simile emorragia, così grave, non potevano fare più nulla, la coagulazione era bassissima, bisognava solo aspettare la morte che era quasi imminente. Mio marito cercò una chiesa per pregare e quelle più vicine erano tutte chiuse. Mia figlia maggiore gli disse ‘Papà, a scuola c’è una cappella, andiamo lì’. C’era madre Patricia, andarono vicino all’altare, e videro l’immagine di padre Faustino. Siccome mio marito sapeva che ero catechista, si avvicinò e gli disse ‘Aiuta mia moglie, non portartela via, intercedi, che non se ne vada’», racconta ancora la donna miracolata.
Come dicevamo, è la vera protagonista di questa causa di canonizzazione anche se Veronica preferisce distogliere l’attenzione da sé, con l’umiltà tipica di chi ha visto la sua vita salvata e voluta da un Altro, quell’Unico che conta per davvero. « io non mi sento protagonista… piuttosto mi sento uno strumento, amo molto il Signore, sempre sono stata una donna di fede, anche prima che avvenisse tutto questo. Ho sempre avuto fiducia in Dio e di fatto sento che questa era la sua volontà. Al di là di quello che significava per me lasciare i miei figli, ero nelle mani del Signore. Ricordo che mentre ero in coma chiedevo al Signore che mi aiutasse, pregavo però non mi ricordavo bene le parole, ripetevo ‘Padre nostro’ e poi non riuscivo ad andare avanti, pregavo anche la Madonna, la prima parte (dell’Ave Maria, ndr) e la ripetevo, in questo stato di incoscienza».