L’accusa avrebbe voluto l’ergastolo per Arturo Saraceno, che nel maggio dell’anno scorso uccise a Magnago la fidanzata Debora Fuso per averlo lasciato a pochi mesi dalle nozze. E invece grazie al rito abbreviato il 33enne, che tentò il suicidio dopo il delitto, è stato condannato a 16 anni di reclusione. Lo ha deciso il Tribunale di Busto Arsizio, a cui il pm Marica Cardellicchio aveva chiesto la condanna a 30 anni di reclusione in seguito alla scelta dell’abbreviato. Colpita a morte con 15 coltellate dopo l’ennesima lite, in un rapporto durato sei anni, la giovane non ha avuto giustizia per i suoi genitori, che oggi commentano la sentenza a Pomeriggio 5. Intanto Gigi Fuso, il padre di Debora, ha espresso la sua delusione a Repubblica: «Mi sono affidato alla giustizia e sono stato ripagato con un verdetto del genere, il rito abbreviato per questo tipo di delitti non dovrebbe esistere. Oggi nella giustizia non credo più, questa è l’Italia e la mia famiglia lo ha toccato con mano, sono davvero deluso e arrabbiato».
LA CONFESSIONE CHOC: “MI È PARTITO L’EMBOLO”
Il giudice del Tribunale di Busto Arsizio che ha condannato Arturo Saraceno a 16 anni di carcere per l’omicidio di Debora Fuso ha escluso l’aggravante della crudeltà e l’abuso di ospitalità, accogliendo le motivazioni dei difensori del 33enne che uccise la fidanzata. «Il mio assistito ha capito di dover scontare la sua pena per quello che ha fatto, ora attendiamo le motivazioni e anche se la procura deciderà o meno di appellarsi», ha dichiarato l’avvocato Daniele Galati a Repubblica. Arturo Saraceno aveva motivato l’omicidio di Debora Fuso spiegando che da mesi nutriva dei sospetti sulla sua ragazza, che avrebbe dovuto sposare tre mesi dopo. Pensava che fosse lei la responsabile del furto dei soldi messi da parte per il matrimonio e della sparizione di alcuni gioielli dalla casa del fratello. «Mi è partito l’embolo», così ammise le sue colpe. L’ultima lite in cuciva, dove la colpì con 15 coltellate mentre lei cercava di scappare. E usò talmente tanta forza da spezzare la lama. Tornato a casa, si ferì al petto con un altro coltello. «Volevo suicidarmi, non ce l’ho fatta. Sono stato io, ammazzatemi voi, era meglio se morivamo tutti e due», disse ai carabinieri.