Nelle ultime settimane, e in concomitanza con il processo che prenderà il via il prossimo 24 novembre e nel quale è imputata per “disturbo del riposo delle altre persone e oltraggio a pubblico ufficiale”, Nadia Desdemona Lioce è tornata a far parlare di sé: l’ex terrorista che aveva fatto parte della Nuove Brigate Rosse – Nuclei Comunisti Combattenti, condannata all’ergastolo nel 2007 per aver partecipato all’assassinio di Massimo D’Antona e Marco Biagi, si trova attualmente reclusa in regime di 41bis nel carcere di L’Aquila e avrebbe ingaggiato da tempo una personale sfida al personale dell’istituto di pena a causa di una presunta ma progressiva restrizione del proprio regime detentivo. Sul caso è intervenuto anche il senatore Luigi Manconi (PD), tra coloro che da tempo sono maggiormente sensibili al tema del trattamento che viene riservato nelle carceri ai detenuti, sostenendo che nella struttura abruzzese si è assistito, negli ultimi dieci anni, alla riduzione del “materiale cartaceo conservabile nelle celle”; ed è proprio a lui che la Lioce ha rivolto un reclamo per ottenere la restituzione di documenti (tra cui atti giudiziari, lettere e riviste) che le erano stati sottratti.
UNA RESTRIZIONE DEL REGIME DETENTIVO?
Questa vicenda affonda le radici nel 2011, ovvero quando era stato introdotto il divieto per i detenuti di ricevere libri e riviste dall’esterno: tale provvedimento è stato di recente confermato dopo che, a livello nazionale, era stata decisa l’uniformazione in tutto il territorio nazionale delle condizioni di coloro che sono sottoposti al 41bis. Insomma, se Nadia Desdemona Lioce ha potuto quindi beneficiare di una cella più grande, meglio illuminata e anche di un passeggio meglio attrezzato, l’ex brigatista originaria di Foggia lamenta però una eccessiva limitazione in merito alle proprie attività quotidiane, quali quelle di leggere, scrivere e studiare, oltre che alla possibilità di interloquire con i suoi avvocati. Un altro motivo del contendere era che nella cella della Lioce, stando al personale del carcere aquilano, fosse aumentato a dismisura “il quantitativo di documenti all’interno della cella, rendendo difficoltosa l’effettuazione delle ordinarie perquisizioni”. Dopo il provvedimento che ha portato alla sottrazione di quel materiale (conservato negli archivi e nel magazzino della prigione) è iniziata una sorta di “guerra” tra la Lioce e lo stesso personale del carcere, in un crescendo di tensioni che ha portato persino al sequestro alla detenuta di un laccetto per gli occhiali.
LA “QUERELLE” TRA LA LIOCE E IL PERSONALE DEL CARCERE
Insomma, negli ultimi mesi sono stati notificati a Nadia Desdemona Lioce ben 70 provvedimenti disciplinari e che hanno portato i legali della donna a denunciare, nel corso di una udienza fissata per lo scorso 15 settembre, una restrizione del regime detentivo che, a loro giudizio, non avrebbe più senso dato che le NBR-NCC sono state smantellate oramai nel lontano 2003. Ad aggravare la sua posizione è però arrivata anche l’imputazione per “disturbo della quiete pubblica” dato che, per protesta, l’ex terrorista era solita battere la porta blindata della propria cella con una bottiglietta al termine di ogni perquisizione. In alcuni dei rapporti ora al vaglio dell’autorità giudiziaria, si legge come questi atteggiamenti della Lioce siano stati ritenuti una “manifestazione della sua indole rivoluzionaria” e passibili quindi di nuove sanzioni quali, ad esempio, l’isolamento punitivo oltre alla “quantificazione e all’accertamento dei danni rilevabili al cancello della camera detentiva” anche se, come fanno notare i legali della Lioce, provocati da una bottiglietta di plastica su delle sbarre di ferro blindato.