Il Consigliere dello Stato ed ex magistrato Francesco Bellomo è al centro di una bufera mediatica-giudiziaria dopo che sono emersi alcuni dettagli assai “bizzarri”, per essere gentili, sulle due particolari regole imposte agli allievi della sua scuola di formazione giuridica avanzata, “Diritto e Scienza”. Il caso sarebbe esploso dopo la denuncia da parte del padre di una ex allieva di Bellomo (che con lui avrebbe avuto anche una relazione sentimentale) e di una seconda ragazza: come abbiamo visto bene in questo focus, le accuse sono a vario titolo e riportano di particolari “contratti” stipulati con i borsisti, i limiti su QI molto alti, dress code obbligatorio (minigonne, abiti sexy e quant’altro) e soprattutto «il fidanzamento era consentito solo se il/la fidanzato/a risultasse avere un quoziente intellettuale pari o superiore a un certo standard», si legge dalle carte delle prime indagini a suo carico. Ora Bellomo rischia la radiazione dal Consiglio di Stato e per questo ha provato a difendersi rispondendo ad alcune domande del Corriere della Sera: «dress code con minigonna e tacchi? Sono tenuto al silenzio e fino a che non sarà finita non posso difendermi. Sono state scritte cose false. Il magistrato si giudica per quello che fa», spiega l’ex magistrato nella intensa e per nulla “distesa” intervista a Virginia Piccolillo.
COME EINSTEIN, NON COME WEINSTEIN
Secondo lo stesso Bellomo la giustizia è sempre più criticata, tra casi anche eclatanti ed errori gravissimi: «eppure voi ve la prendete con uno che per 25 anni l’ha svolta in maniera praticamente perfetta. Una volta che io esco dalle aule di giustizia torno una persona libera di esprimere le mie idee. Giudicatemi come uomo». Bellomo rivendica tutte le scelte all’interno di un contratto pulito e trasparente, ma quando gli viene fatto notare che questo contratto resta ancora segreto e introvabile, lui replica, «Esistono delle clausole di riservatezza nel contratto che viene sottoscritto con la società che organizza i corsi. Come negli Stati Uniti». Non solo, il magistrato noto anche per il suo stile e abbigliamento alquanto “rock” negli appuntamenti ufficiali della sua scuola di formazione giuridica, si inerpica in una difesa tanto bizzarra quanto l’intera vicenda scoppiata in questi giorni: «Il mio è un metodo scientifico di intendere la funzione della ragione nelle cose umane. Tutti i geni, anche Einstein, si sono dovuti difendere dagli attacchi di chi non ne conosceva le idee. Non avrei voluto divulgare le mie, ma sono venute fuori. Allora perché non dite che funzionano? Le mie allieve (e i miei allievi) hanno superato il concorso più di quelle di qualunque altro corso».
Respinge ogni accusa di molestie sessuali e “pressioni” psicologiche sulle allieve, anche quando viene “paragonato” al caso Weinstein, il celebre produttore americano in disgrazia ora dopo i tantissimi scandali emersi negli ultimi mesi: «Non c’entro nulla con quel tipo di cose. Weinstein è un produttore che ti può bloccare la carriera. Io non sono la casta sono uno che ne sta completamente al di fuori e tutto questo ha un peso su ciò che sta accadendo. Ma quando potrò parlare si capirà tutto». Bellomo rivelerà le sue posizioni e difese ufficiali davanti al Consiglio di Stato, ma intanto rimane all’interno di un fastidioso e non bel quadro di accuse che lui stesso asserisce di non conoscere fino in fondo: « il dress code non mi è stato contestato, mentre leggo che sono stato condannato per quello. Io non posso e non voglio parlare di quel procedimento di fronte al Consiglio di Stato. Ma se anche volessi, come nel processo di Kafka io, tutt’ora, le accuse non le conosco. Non mi hanno contestato nessuna clausola. Un uomo che ha fatto il pm in realtà complicate come la Sicilia, può essere censurato per un dress code?», chiosa sempre nell’intervista al Corriere.