Quanto accaduto al Policlinico Sant’Orsola di Bologna possiamo definirlo un doppio traguardo, non solo per la scienza ma soprattutto per una giovane paziente di 34 anni, la quale credeva di non poter più coltivare il desiderio di diventare madre. Perché alla donna, all’età di 29 anni le era stato diagnosticato un brutto male, il linfoma non Hodgkin, tumore che si sviluppa nelle cellule del sistema immunitario. Una bella battaglia che avrebbe significato anche ampie sedute di radio e chemioterapia con il rischio di trovarsi in menopausa anticipata e non poter così restare incinta. Per questo motivo, come racconta Corriere.it, dopo il trapianto di midollo osseo la paziente aveva deciso di farsi congelare parte del suo tessuto ovarico il quale sarebbe potuto servire in futuro. E così è stato: trascorsi cinque anni dal cancro e dichiarata ormai guarita, la 34enne si è ritrovata come previsto in menopausa anticipata ed ha deciso di fare ricorso al tessuto delle ovaie che aveva congelato in passato, preservandolo così dalle cure oncologiche. Attraverso un reimpianto del tessuto ovarico in due differenti punti, nelle ovaie e nell’addome sottocute, le funzioni ovariche della paziente sono state perfettamente riattivate permettendole di avere una gravidanza spontanea. Un risultato davvero incredibile commentato con enorme soddisfazione dal direttore generale dell’ospedale bolognese, Antonella Messori: “Ne siamo orgogliosi, ci fa ben sperare per il futuro”.
PRIMO CASO IN ITALIA IN PAZIENTE ONCOLOGICA
Oggi la donna è alla sesta settimana di gravidanza in seguito al reimpianto del tessuto ovarico. “C’è l’impianto in utero e il battito cardiaco. Speriamo che ora vada avanti nel migliore dei modi”, ha commentato al quotidiano il dottor Renato Seracchioli, a capo dell’unità di Ginecologia del Sant’Orsola, il quale ha visitato la futura mamma qualche giorno fa. Quanto accaduto, spiega l’esperto, è un evento tutt’altro che frequente. Finora al mondo si contano circa un centinaio di casi di gravidanza za attraverso questa tecnica . Il precedente nel nostro Paese era avvenuto qualche anno fa a Torino in una paziente che aveva sofferto di betatalassemia, mentre quanto accaduto a Bologna è il primo in una paziente oncologica. La tecnica che consiste nel congelare il tessuto ovarico si sta evolvendo sempre di più con il passare del tempo e soprattutto si pone ricca di potenzialità. “Quando sarà ottimizzata, potremo ridare la possibilità di una vita normale e di una gravidanza a molte donne”, ha spiegato Seracchioli. Ma come avviene, in concreto, il processo che precede il reimpianto? Si procede con un intervento in laparoscopia durante il quale si asporta una parte di tessuto corticale dalle ovaie, che sarà poi tagliata in strisce grandi qualche millimetro e ciascuna di esse messa in provetta con una soluzione protettiva. Come si può intuire, si tratta di un’operazione molto delicata poiché il tessuto stesso è estremamente sensibile ai traumi. Le provette con all’interno la parte di tessuto ovarico saranno quindi conservate a meno 150 gradi in azoto liquido e custodite nella “criobanca” dell’ospedale bolognese.
TECNICA IMPIEGATA ANCHE IN PAZIENTI PEDRIATRICHE
In Italia l’ospedale di Bologna rappresenta uno dei punti di riferimento in fatto di crioconservazioni. Ad oggi ne sono state compiute 703, di cui la maggior parte (550) da pazienti adulte e le restanti da pazienti pediatriche, tra cui un caso che vede il tessuto di una bimba di due anni. Il tessuto congelato può essere tenuto conservato, senza subire danni, per almeno 18 anni. Finora nella struttura sono stati eseguiti 16 reimpianti in 13 pazienti con ottimi risultati ed una riuscita nell’80-90% dei casi. Ma qual è il motivo di tale operazione? Non sempre il desiderio di gravidanza è alla base della richiesta, legata anche a motivi che hanno a che fare con problematiche relative alla menopausa, ad esempio. Sul piano riproduttivo, invece, esiste una grande differenza tra la crioconservazione e il congelamento degli ovociti e nel primo caso le possibilità di restare incinta spontaneamente sono maggiori. In pazienti pediatriche, infine, questa tecnica viene impiegata per indurre la pubertà soprattutto in quei casi in cui, per via di precedenti trattamenti, nelle piccole pazienti si è avuta la totale distruzione della funzione ovarica.