A Betlemme questo Natale tornerà buio e freddo come 2mila anni fa, prima della venuta di Gesù nel mondo proprio in una mangiatoia “di fortuna” alle porte della città palestinese. Dopo la decisione di Trump di sostenere e riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele, il moto di protesta coinvolge larga parte del mondo occidentale; tutti i Paesi Arabi che hanno già oltrepassato il limite della civiltà minacciando di mettere a ferro e fuoco Israele (oltre all’Isis che ha minacciato nuovi attentati contro gli Stati Uniti, ndr); e ovviamente la Palestina che vede in questa mossa diplomatica un deciso passo indietro sul complesso e delicato processo di pace. Ebbene, la decisione della città di Betlemme è stata netta e simbolica: «L’albero di Natale – ha detto Fady Ghattas del comune di Betlemme, citato dai media – è stato spento su ordine del sindaco». La Palestina cristiana dunque protesta contro Trump, contro Israele e contro un nuovo passo falso per il processo di pace tra due popoli in guerra da più di mezzo secolo. Dalla notte scorsa infatti sono state spente le luci dell’albero di Natale posto sulla Piazza della Mangiatoia, dove duemila anni fa nacque colui che ha dato senso, verità e vita non solo a quella cittadina.
IL BUIO E LA SPERANZA
A Betlemme dunque torna il buio: simbolico, è chiaro, ma pur sempre buio dove invece proprio in quel luogo nacque e venne la luce nel mondo. La dimensione politica, di potere e di interessi che si muove dietro la complessa vicenda-lotta tra Palestina e Israele è in quelle zone la “sfida” più grande ancora oggi, duemila anni dopo: cambiano i poteri, ma non cambiano le storture del potere, da Erode fino al conflitto israelo-palestinese. La mossa “avventata” di Trump ha riaperto un focolaio che era comunque lì pronto ad esplodere da un momento all’altro: la scelta del sindaco di Betlemme – non della Chiesa, sottolineamolo – porta al centro del dibattito un fatto religioso come la memoria presente della nascita di Cristo con un fatto “politico” come una protesta simbolica contro Israele. Il “buio” dei tempi attuali, come quello di duemila anni fa, non può però superare quell’ipotesi poi divenuta realtà certa di speranza. In attesa che in questo Natale qualcosa illumini le menti e le prossime scelte dei principali protagonisti impegnati nel processo di pace in Medio Oriente, vale la pena ricordare cosa Papa Francesco ha iscritto nel libro in uscita per l’avvento cristiano, “La luce del Natale”. Il valore del presepe in quel luogo, Betlemme, è la speranza del cristiano che porta nel mondo: «Quando si parla di speranza – scrive papa Bergoglio -, spesso ci si riferisce a ciò che non è in potere dell’uomo e che non è visibile, ma il Natale ci parla di una speranza diversa, una speranza affidabile, visibile e comprensibile, perché fondata sulla vita di un uomo in carne e ossa, storicamente esistito: Gesù di Nazareth». Un Dio che si è fatto uomo per risolvere i mali del mondo, di ogni epoca, anche di quella presente così pervicacemente “senza speranza”.