E’ già passata alla storia Usa Betsy DeVos, da ieri ufficialmente segretaria all’Educazione della nuova amministrazione Trump. Per la prima volta la conferma da parte del Senato di un membro del gabinetto è avvenuta con il voto decisivo del vice-presidente (e in 240 anni di annali statunitensi è stata la 245 volta che il n.2 della casa Bianca è dovuto intervenire con una scheda tie-breaking). Neppure la maggioranza formale di cui godono i repubblicani al Senato (52 a 48) è bastata a DeVos: due senatrici (Susan Collins del Maine and Lisa Murkowski dell’Alaska) hanno “disertato” verso il fronte democratico, determinando lo stallo. Solo il vice di Donald Trump, Mike Pence, ha evitato l’apertura di un nuovo fronte, ad appena 19 giorni dall’insediamento del nuovo presidente.
Un “caso DeVos” è comunque scoppiato. E non è stato solo l’ennesimo sgarbo dell’establishment di Washington verso The Donald entrato come il classico elefante (peraltro poco repubblicano) nella cristalleria dei palazzi sul Potomac. Il caso DeVos è certamente sinonimo di billionaire sbarcata nella capitale al seguito del più controverso miliardario americano di sempre (la famiglia DeVos peraltro è stimata più ricca dei Trump: 5,3 miliardi di dollari contro 3,7). Proprio Bernie Sanders, lo sfidante sconfitto di Hillary Clinton alle primarie democratiche, ha costretto DeVos ad ammettere che i supporti finanziari totali convogliati negli anni dalla sua ricchissima famiglia al Grand Old Party possono aver raggiunto la cifra astronomica di 200 milioni di dollari (e c’è l’ipotesi fondata che la senatrice Murkowski abbia voluto tener lontani legami sgradevoli con un finanziamento da 43mila dollari).
Non manca tuttavia una buona dose di politica – di politica scolastica – nella resistenza a DeVos: il cui impegno nel realizzare il Trump-pensiero promette di non essere molto inferiore a quello di Norris Cochran, il segretario alla Salute alle prese con lo smantellamento dell’Obamacare. DeVos è da sempre paladina della scuola privata, cui riservare il grosso dei sussidi pubblici sotto forma di voucher. Non lo è dall’ultima ora: lo è da oltre 30 anni nel suo Michigan, attraverso una miriade di iniziative principalmente filantropiche, la più nota delle quali è l’Alliance for Shool Choice, vicina alle chiese cristiane riformate.
“Libertà di scelta a scuola” per DeVos significa considerare “di rilevanza pubblica” ogni iniziativa educativa che rientri in standard qualitativi prefissati e controllabili: vale per la tradizione scolastica di ambito religioso, per il fenomeno emergente delle charter schools, per il digital learning a distanza sulla rete. DeVos stessa ha fondato un istituto per piloti e tecnici di aviazione.
Il sito del Dipartimento dell’Educazione ricorda che la missione affidata dalla legge alla politica educativa federale è “proibire discriminazioni e assicurare parità d’accesso”. Trump, nel suo discorso d’insediamento del 20 gennaio, le ha indicato una missione diversa: rimettere in sesto “un sistema educativo che con spreco di denaro lascia i nostri bei giovani privi di conoscenze adeguate”. Forse il problema – politico-finanziario – è più grosso della fortuna personale della ministra. E dei rivoli di donazioni ai senatori repubblicani, tutt’altro che al riparo dal ciclone-Donald.