Sta per ottenere il primo via libera la riforma della Giustizia: il ddl infatti, come riporta l’agenzia di stampa Adnkronos, sarà discusso domani 15 marzo in Senato. Si tratta del disegno di legge, già esaminato dalla Camera, che punta a modificare alcune disposizioni del codice penale (come l’inasprimento delle pene per furti e rapine, l’estinzione del reato per condotte riparatorie), del codice di procedura penale (come la disciplina delle indagini preliminari) e delle norme di attuazione. Il ddl di riforma della Giustizia è composto da 40 articoli: il governo viene delegato inoltre a una riforma del processo penale e dell’ordinamento penitenziario. Ecco quali sono le novità principali contenute nel ddl. Per quanto riguarda alcune tipologie di reato sono previste pene più severe: reato di scambio elettorale politico-mafioso (reclusione da sei a dodici anni, al posto della pena attuale da quattro a dieci anni), reati contro il contro il patrimonio, tra i quali il furto in abitazione e con strappo, il furto aggravato e la rapina.
Nel testo di riforma della Giustizia è contenuta anche la misura che modifica la disciplina della prescrizione dei reati. Il provvedimento all’esame del Senato prevede che dopo la sentenza di condanna in primo grado il termine di prescrizione resti sospeso fino al deposito della sentenza di appello, e comunque non oltre un anno e sei mesi. Dopo la sentenza di condanna in appello, anche se pronunciata in sede di rinvio, il termine di prescrizione resta sospeso fino alla pronuncia della sentenza definitiva e comunque non oltre un anno e sei mesi. Per alcuni tipi di reato, maltrattamenti in famiglia, tratta di persone, sfruttamento sessuale di minori e violenza sessuale e stalking, se commessi contro minori, il termine di prescrizione decorre dal compimento del 18esimo anno di età della vittima. Se l’azione penale è stata invece già stata esercitata il termine di prescrizione decorre dall’acquisizione della notizia di reato. Modifiche sono previste anche per le intercettazioni: è stabilito un nuovo reato, con reclusione non superiore a 4 anni, a carico di chi diffonda il contenuto di conversazioni intercettate solo per recare danno alla reputazione. La punibilità è esclusa quando le registrazioni sono utilizzabili in un procedimento amministrativo o giudiziario o per l’esercizio del diritto di difesa o del diritto di cronaca.