Un racconto lunghissimo, un funerale “particolare” questa volta però non avvenuto in profondo sud Italia ma nella capitale del Nord, Milano: si parla di Mimmo Pompeo, uno dei boss più rinomati della ’ndrangheta milanese, morto qualche giorno fa e salutato con le esequie avvenute lo scorso 28 febbraio. Come racconta il collega del Corriere Cesare Giuzzi, nella Chiesa di Santa Maria Liberatrice di via Antonini, si è assistito ad uno “spettacolo” certamente bizzarro. «Venti palloncini bianchi e rossi salgono verso il cielo di via Antonini. Dentro e fuori la chiesa ci sono uomini che si muovono circospetti. A gruppetti di due o tre per volta. Ci si scambia un saluto veloce, ma soprattutto si osserva. Gli occhi cercano chi manca. Perché l’assenza, ai funerali come ai matrimoni, segna alleanze rotte, accordi spezzati, amici e nemici. E l’assenza a un funerale come quello di Mario Domenico Pompeo, morto a 64 anni per un tumore, prima ancora che uno sgarbo verso il morto e la sua famiglia, può valere una croce sul proprio futuro». Il cronista racconta come i vari clan divisi e le famiglie in faida per il controllo della coca e della criminalità organizzata nella ricca Lombardia sono presenti in rappresentanza al funerale di Mimmo Pompeo; addirittura arrivano anche due strani individui dalla Svizzera sopra una Porsche parcheggiata in fretta e furia davanti alla Chiesa. Ma non è solo l’ndrangheta ad essere presente con le famiglie Tallarico e Pittella, i nomi in profonda ascesa nel ambia tra Bruzzano e Quarto Oggiaro: «Ci sono i ragazzi dello stadio, cresciuti a curve ed estrema destra, e con loro il capo milanese del movimento skin Domenico Bosa, quel Mimmo Hammer amico del trafficante montenegrino Milutin Tiodorovic e degli uomini del clan di Pepé Flachi» si legge sul Corriere.
Forse non tutti sanno che Mimmo Pompeo ha rappresentato per anni il fulcro, il tessitore e il profondo boss del racket dei paninari fuori dallo stadio Meazza di San Siro: il boss salutato da una colonna piuttosto variopinta di personaggi non propriamente legati alla legalità milanese, era infatti il leader indiscusso dei vari baracchini della salamelle prima delle partite di Milan e Inter. «C’era tutta la malavita che conta quel 28 febbraio in via Antonini, riunita per le grandi occasioni: compaesani calabresi, ma anche siciliani e slavi. Perché il potere dei Pompeo inizia negli anni Ottanta all’epoca dei catanesi di Epaminonda, affonda le sue radici nella parentela con Ginetto Di Paola, killer degli otto morti al ristorante «La strega» di via Moncucco nel ‘79, fino all’alleanza con i calabresi del boss Pepé Flachi, legato al potentissimo clan De Stefano di Reggio Calabria», ricorda Giuzzi sul CorSera. Mimmo Pompeo era detto dal giro della malavita milanese, “il filosofo” perché aveva la casa piena di libri, aveva tenuto poi anche la “pace” tra le varie faide interne della ‘ndrina milanese. Ora con la sua morte potrebbe cambiare tutto e riaprirsi una stagione di scontri tra i vari clan e sotto clan non solo a Bruzzano; a conferma di ciò si può collegare gli ultimi due agguati avvenuti a Bruzzano e Quarto Oggiaro che proverebbero un movimento innaturale della mafia milanese; «A Milano nonostante qualcuno forse può pensare il contrario — riflette un inquirente — coca e mafia vanno di pari passo. Si pensa molto al riciclaggio e alle infiltrazioni finanziarie, ma la mafia povera, quella delle estorsioni e della droga sta risalendo indisturbata», riportano gli investigatori esperti che hanno seguito per molto tempo il boss salutato dai palloncini fuori dalla Chiesa, Mimmo Pompeo.