50 anni fa veniva annunciata al mondo la “Popolorum Progressio”, l’enciclica che in qualche modo chiudeva l’era del Concilio Vaticano II e rilanciava il papato di Paolo VI attraverso l’analisi, lo studio e l’incredibile “profezia” della Chiesa sulla crisi globale e la assoluta necessità di sviluppo solidale dei popoli. Dopo la costituzione pastorale “Gaudium et spes” che fece da puntello del Concilio Vaticano decisivo nel Novecento religioso e non, questa nuova enciclica rappresentava un tentativo di percorso attraverso i primi problemi che sorgevano sulla vita economica, sociale, politica in piena guerra Fredda. Papa Montini voleva provare a rilanciare il tema dello sviluppo pacifico dei popoli rispetto alla corsa assurda agli armamenti che dominava in quegli anni. Ma fu ovviamente molto più di questo: «Chi è realista? È o non è realista chi si accorge che è nello sviluppo dei popoli che si gioca la pace del mondo e che i soli parametri tecnico-economici dello sviluppo creano condizioni disumane, squilibri e violenza, che lo sviluppo deve essere integrale, cioè di tutto l’uomo e solidale, cioè di tutti gli uomini?», sottolineava un giovane e allora patriarca di Venezia, Albino Luciani (lo sfortunato Papa Giovanni Paolo I). Che poi aggiungeva, «È realista non chi crede che si possa andare avanti come prima, ma chi percepisce il dinamismo di un mondo che non può più vivere senza uno spirito solidale», si legge nel focus di oggi dedicato dall’Avvenire ai cinquant’anni della Popolorum Progressio di Papa Paolo Vi. Non vi era allora, e in questo senso è stato drammaticamente profetica la visione dell’ex Arcivescovo di Milano, e non vi è anche adesso, tempo da perdere per quanto riguarda le sfide temibili della realtà quotidiana. Un programma di «equilibrio economico, di dignità morale, di collaborazione universale tra le nazioni, per mobilitare le nostre comunità ai fini di una solidarietà mondiale», scriveva ancora Luciani nel suo lieto commento alla nuova enciclica del suo predecessore.
Su tutti, Montini aveva capito – in piena Guerra Fredda – che la vera cortina di ferro non era tra ovest ed Est bensì tra Nord e Sud del mondo: tra i popoli dell’opulenza e quelli della fama. In tanti hanno attaccato negli anni Papa Paolo Vi come troppo schierato “con l’Occidente” ma invece più di tutti aveva capito dove stava andando il mondo e con quale tentativo educativo era utile provvedere. Dopo l’enciclica invece venne accusato di essere troppo “vicino” al marxismo, dimostrando una volta di più come la riduzione sul pensiero vasto della Chiesa Cattolica e dei suoi “dottori” è qualcosa di molto se non completamente limitante e limitato. Affermare, come faceva Montini nel testo della “Popolorum Progressio” che lo sviluppo dell’uomo e della società non poteva essere una semplice crescita economica, lo aveva accumunato ad un “prete marxista”. E invece il Papa non faceva alto che rilanciare il messaggio rivoluzionario di Gesù Cristo sulla Terra: solo l’uomo autentico e integrale può davvero svilupparsi verso un meglio e un bene, uno sviluppo dunque completo dell’intera umanità e non solo di una ricchezza opulenta. «Per la prima volta si estendeva l’insegnamento sociale della Chiesa su scala mondiale, e Paolo VI proponeva, come dovere grave e urgente, di stabilire una giustizia sociale schierandosi dalla parte dei perdenti dell’umanità, di tutte le popolazioni deboli e marginalizzate», commenta oggi su Avvenire Stefania Falasca. Uno sguardo sull’oggi, uno sguardo sulla crisi del nuovo millennio che la Chiesa aveva con questa lettura illuminante già “profetizzato” 50 anni fa.