Fa piangere di rabbia, l’idea che la differenza fra la vita e la morte per cento persone — suppergiù, per ora nell’incendio che ha distrutto un grattacielo di Kensington la polizia conta 30 morti accertati e 76 dispersi, “chissà se riusciremo mai a sapere quanti erano davvero i corpi di cui troveremo solo poveri resti carbonizzati” — sia di 6.000 euro, 60 euro a testa suppergiù (se è vera la notizia che nella recente ristrutturazione del grattacielo, costata sui 10 milioni, sono stati usati materiali non ignifughi, e il risparmio è stato quello).
È colpa del premier May, ha tuonato subito il leader libdem Tom Blake, la Gran Bretagna deve adeguare i suoi standard a quelli degli altri Paesi, quei materiali in Germania sono fuorilegge. Quei morti sono il risultato delle disuguaglianze inglesi, ha fatto eco il Guardian. La rabbia della gente — come sempre, come è inevitabile, come forse è giusto — si è subito scagliata contro i politici.
Intanto, lassù, al ventitreesimo piano, si raccontava un’altra storia. Lassù, intrappolati, c’erano Gloria e Marco. Veneti, fidanzati, trasferiti a Londra in cerca di quelle possibilità di lavoro, di carriera, di successo, che in Italia sono certamente più difficili (anche qui, sui social è subito partita la caccia all’untore, quelle morti sono colpa dei politici italiani che negano ai nostri giovani possibilità di lavoro…). Hanno capito che c’era qualcosa di strano, poi hanno capito che c’era un incendio, ma era laggiù, in basso, certamente i soccorsi sarebbero arrivati a salvarli, poi si sono resi conto che il tempo passava e non arrivava nessuno, solo il fumo continuava salire. Intanto chiamavano casa, Gloria parlava con la mamma. Che nel frattempo stava davanti al televisore, e vedeva il grattacielo con dentro la figlia bruciare (non oso neppure lontanamente provare a immaginare, a immedesimarmi nel dolore della madre, del padre, se a me arrivasse da uno dei miei figli una telefonata così…). Fino a quell’ultima, drammatica, spettacolare frase di Gloria: “Mamma, mi sono resa conto che sto morendo. Grazie per quello che avete fatto per me. Sto per andare in cielo. Vi aiuterò da lì”.
Un’altra storia. Perché il male del mondo ci sarà sempre. Perché è giusto fare leggi più severe, controlli più rigorosi. Ma il male, da qualche parte, si infila. La morte, la morte ingiusta, la morte dei bambini, dei giovani, prende sempre qualcuno. Tutta la nostra civiltà si è coalizzata per esorcizzarla, nasconderla, censurarla; e quando lei, inesorabile, arriva, maledice.
Ma c’è un’altra storia, un’altra civiltà, che chissà come è risalita dalle viscere di Gloria nel momento decisivo. Una storia che annuncia che la morte non è la fine, non è l’ultima parola. Qualche tempo fa, Gloria aveva pubblicato su Instagram una foto presa dalla finestra del suo appartamento. “Una vista meravigliosa”, commentava. Mi piace pensare che, in mezzo al fumo che cominciava a soffocarla, Gloria abbia intravisto la vista meravigliosa che stava per spalancarsi ai suoi occhi. Perché mi pare che la partita della vita stia tutta lì: tra una storia che dice che una vita vale 60 euro di materiale ignifugo, e una storia che dice che una vita ha un valore infinito, perché c’è un Infinito che la vuole per sempre. La voce di Gloria è davvero l’eco della gloria di Dio, che risplende anche nel fumo della nostra cecità moderna.