Albanesi, macedoni, marocchini, tunisini: sono in tutto nove le persone iscritte nel registro degli indagati, tutti stranieri della procura di Bologna con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo e sovversione dell’ordine pubblico. Sono tutti commercianti e piccoli imprenditori di Rimini, parte di quel tessuto di nuove imprese fondate da extra comunitari su cui si punta moltissimo per il futuro della nostra economia, attività che prendono il posto di quelle storiche che non ce l’hanno più fatta a stare sul mercato.
Peccato che questi nove avrebbero fatto da finanziatori e soprattutto da intermediari per spedire soldi all’Isis: nel 2014 circa un milione di euro è passato dalle loro mani, al momento le indagini sono in corso ma il sospetto è grave, che quei soldi siano finiti ai terroristi. Agli indagati sono stati sequestrati telefonini, computer, contabilità, numeri telefonici mentre si cerca anche dmateriale propagandistico. Per giungere ai nove le forze dell’ordine si sono servite di intercettazioni telefoniche: è apparso chiaro che dalle loro parole i sospetti appartenessero all’ala radicale e fondamentalista dell’Islam. A chiudere il cerchio le somme ingenti di denaro che spedivano a paesi nordafricani.
Da tempo Rimini, la Las Vegas italiana, è diventata la città italiana con il maggior numero di islamici salafiti, quelli più radicali, gli stessi che governano l’Arabia Saudita la quale a sua volta finanzia l’Isis, e che nella città romagnola hanno trovato accoglienza in una moschea dove si sarebbe fatto reclutamento di giovani da spedire in Egitto a fare studi di Corano.