PAPA/ Dallo psicoanalista, così Bergoglio boccia i papi di Moretti e Sorrentino

- Luigi Campagner

Nel libro-intervista di Dominique Wolton, "Politique et société", papa Francesco racconta di essere andato in analisi da una psicoanalista ebrea. Commento di LUIGI CAMPAGNER

papa_francesco_milano_2_monza_lapresse_2017 Papa Francesco (LaPresse)

Non ci sono dubbi, o almeno i commentatori di tutt’Europa non ne hanno avuti: la notizia principale circa le anticipazioni di Le Figaro Magazine sulla prossima uscita in Francia del libro intervista a Papa Francesco, Politique et société, di Dominique Wolton, riguarda la “confessione” di essere andato in analisi da una psicoanalista ebrea. “Ad un certo momento — racconta con disarmante semplicità il Papa al suo interlocutore — ho sentito il bisogno di consultare un analista. Una psicoanalista ebrea. Durante sei mesi sono andato nel suo studio una volta la settimana per schiarirmi alcune cose. È stata una professionista valida, molto professionale come medico e come psicanalista, sempre rimasta al suo posto”.

C’è n’è abbastanza per ricapitolare, se non addirittura per stravolgere, l’ermeneutica del complicato rapporto tra Chiesa, fede e psicoanalisi. Una ricapitolazione che ormai è un dato di fatto e trova un inizio incontrovertibile proprio nella semplicità della confidenza del Papa. È l’apertura di un campo di lavoro dove è auspicabile non manchino “operai”.

Ma oggi a tenere il campo è ancora la sorpresa. Quasi uno shock, una doccia fredda, messa in secondo piano solo dalla tentazione di guardare dal buco della serratura, o meglio dalla tentazione di origliare, perché in una seduta di psicoanalisi c’è ben poco da vedere. Le ipotesi formulate dai commentatori, ad uso e consumo dei curiosi, hanno già fatto il giro del mondo e sono presto dette. Di cosa mai si sarà trattato? Un disturbo nevrotico, una manifestazione ansiosa, una leggera depressione? O dei riverberi di un conflitto, magari con i superiori del suo ordine? Una crisi vocazionale? O qualcosa che riguardi la sessualità? Non è questo lo specifico della psicoanalisi? O ancora i rapporti con le donne importanti della sua vita, di cui il Papa parla nel libro con ammirazione e con dovizia di particolari? Sarà solo un caso se ha scelto di consultare una donna?

Purtroppo a deludere le aspettative dei curiosi — sottoscritto incluso — ci pensa Freud in persona, che in una delle note sulla tecnica psicoanalitica osservava che, se anche una terza persona venisse ammessa ad assistere ad una seduta, la sua comprensione di quanto sta accadendo nel rapporto terapeutico (altrimenti noto come transfert) sarebbe prossimo allo zero.

Non per questo mancano le parole del Papa a cui dare ascolto. Anche al netto delle curiosità, esse sono sufficienti per l’indice di un saggio poderoso, non meno che per essere messe al centro di un convegno di psicoanalisti.  Qui ne scelgo solo due, che sono però centrali: la parola “posto” e la parola “beneficio”. Rammentando a distanza di quasi quarant’anni il periodo di terapia, il Papa annota di aver ricevuto “un grosso beneficio” da “una persona buona”: una professionista “sempre rimasta al suo posto”.

Non è la prima volta che Papa Begoglio dà la netta sensazione di comprendere la materia dall’interno, grazie a un’esperienza diretta, perché la definizione “del posto dell’analista” è uno snodo centrale della psicoanalisi. Accoglienza, distanza, neutralità, epochè, laicità dell’ascolto, astensione dall’ingerire nelle libere scelte dell’interlocutore (altrimenti detto paziente) sono tratti essenziali dalla figura del terapeuta, a volte anche più importanti della sua arguzia e abilità interpretativa. La capacità di tenuta nel tempo di questa posizione è l’unica prova (al di là — e prima — dei titoli accademici) della reale efficacia del terapeuta, ma soprattutto essa costruisce togliendo (non aggiungendo) lo spazio per il posto dell’altro, in particolare per i suoi atti articolati in “pensieri (sogni inclusi), parole e opere”. È in questo spazio non occupato — in quanto progressivamente liberato da precedenti occupazioni — che il paziente riprende a muoversi come soggetto.

Tra questi movimenti nessuno è più importante di quello che rende (di nuovo) idonei a ricevere un beneficio. In primis dal terapeuta, nel merito di ciò per cui lo si è, per usare le parole del Papa, “consultato”. Senza dimenticare che l’analista è solo un “primus inter pares”: uno qualunque, che ha però facoltà di rappresentare tutti gli altri dell’universo relazionale del soggetto in terapia. Tutti gli altri significativi dai quali si amerebbe ricevere il bene.

Si tratta di una facoltà, quella del ricevere, che nell’uomo moderno — compreso nel credente — è spesso anchilosata. Ma soprattutto essa è una facoltà senza la quale nessuno, nemmeno un Papa, potrà avere l’ambizione di “star bene come un Papa”. Al massimo potrà essere fatto assomigliare ad un personaggio di un film di Nanni Moretti o di una serie di Paolo Sorrentino — scomodati per l’occasione da Pierluigi Battista sul Corriere della Sera — che (almeno) sul ricevere la Grazia, non sembrano certo a propio agio.





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