Per capirci qualcosa sono dovuti entrare nel cosiddetto deep web, l’altra faccia di Google, il lato oscuro di internet. Ci vogliono codici particolari per entrarci e infatti è usato da terroristi, spacciatori di droga, criminali, pedofili. E satanisti. E così hanno potuto decifrare la cosiddetta lettera scritta dal diavolo che dal 1676 giace nell’archivio delle suore di clausura di Palma di Montechiaro in provincia di Agrigento, che nessuno aveva mai potuto capire. In tutto 14 righe scritte con caratteri che sembrano assurdi e insignificanti, scritte da Suor Maria Crocifissa, trovata l”11 agosto di quell’anno agonizzante nella sua camera seduta per terra, il volto imbrattato di inchiostro, il calamaio sulle ginocchia e un foglio stretto tra le mani. Cos’era successo? Immediate furono le interpretazioni. La più diffusa è che quelle poche righe erano state scritte personalmente dal demonio e consegnate alla suora, suor Maria Crocifissa della Concezione, nome originale Isabella Tomasi, ordinandole di firmarla. La suora sarebbe stata in grado di capire il messaggio e invece di firmarla scrisse solo “ohimè”, l’unica parte della lettera in alfabeto leggibile. Il cognome della suora forse vi avrà detto qualcosa: si tratta di una antenata dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa che nel 1955 avendo sentito questa storia andò a vedere di persona la lettera e inserì la storia nel suo capolavoro Il Gattopardo, cambiando il nome della protagonista in beata Corbera. Secondo una leggenda popolare il significato della lettera sarebbe stato: “mio figlio Calogero Iacona comanderà su tutti i paesi e su tutte le città ma ohimè sarà sempre da solo e si comporterà in modo signorile”. Le consorelle di suor Maria Crocifissa invece non ebbero dubbi che la donna aveva combattuto contro dei demoni che volevano tentarla e che le dettarono la misteriosa lettera che portava caratteri simili al greco antico e al cirillico.
MISTERO RISOLTO?
Adesso il mistero sarebbe stato finalmente risolto. Un gruppo di fisici e di informatici di Catania sono andati nel deep web e hanno utilizzato programmi per decifrare messaggi: “Algoritmi che fanno tentativi di decifrazione, individuando caratteri simili che si ripetono. Un tentativo, è bene chiarirlo, ma un tentativo i cui esiti ci hanno stupiti” ha detto uno di loro a La Stampa. Spiega che hanno inserito nel programma l’alfabeto greco, quello latino, quello runico e quello degli yazidi che prima di convertirsi all’islam erano considerati adoratori del diavolo. “L’algoritmo prima individua i caratteri che si ripetono uguali, poi li compara con i segni alfabetici più simili nelle varie lingue”. Il risultato? Qualcosa di realmente diabolico: “Forse ormai certo Stige (uno dei cinque fiumi degli Inferi secondo la mitologia greca e romana) poiché Dio Cristo Zoroastro seguono le vie antiche e sarte cucite dagli uomini, Ohimé”. E infine: “Un Dio che sento liberare i mortali”. Viene da pensare che cambiando gli alfabeti si possa ottenere qualunque risultato, in ogni caso il contenuto proverebbe che i demoni volevano che la suora diventasse loro messaggera e che con quella lettera chiedesse a Dio di lasciar stare i mortali nei loro peccati lasciandoli a Belzebù. Lei si sarebbe rifiutata di firmarla scrivendo solo ohimè, un gesto di disperazione e i diavoli si sarebbero scatenati contro di lei. Gli studiosi invece sostengono che la suora avesse inventato lei quell’alfabeto, vista la precisione della scrittura: “Ogni simbolo è ben pensato e strutturato, ci sono segni che si ripetono, un’iniziativa forse intenzionale e forse inconscia. Lo stress della vita monacale era molto forte, la donna potrebbe avere sofferto di un disturbo bipolare, allora non c’erano farmaci né diagnosi psichiatriche. Certamente c’era il diavolo nella sua testa”. In ogni caso suor Maria fu fatta beata ma prima di morire rivelò che i demoni le avevano detto altri messaggi che lei non avrebbe rivelato mai: “Non mi domandate di questo per carità che non posso in verun modo dirlo, e nemmeno occorre dirlo io, che verrà tempo che il tutto udirete e vedrete”.